Termini Imerese story, dal boom alla chiusura

Siamo nel 1970 quando la prima 500 fuoriesce dalla catena di montaggio dello stabilimento di Termini Imerese. Sono altri tempi quelli, i tempi dell’aiuto di Stato. Lo stabilimento siciliano si chiama Sicilfiat ed è stato costruito con i soldi della Regione Siciliana. Dopo 7 anni il sostegno pubblico cessa, ma lo stabilimento cresce: dai 350 addetti dei primi anni 70, si passa ai 4000 mila della fine degli anni 80. Lo stop alle assunzioni arriva nel 93, la crisi che investe il mondo colpisce anche la Fiat, per la prima volta entrano nel comune sentire le parole cassa integrazione e mobilità. Nel 2003 arriva la scure della chiusura, pericolo che pare essere scongiurato nel 2006 quando Marchionne in visita a Termini presenta un piano di rilancio che prevede un importante intervento del pubblico. Sei mesi dopo arriva un passo indietro da parte della casa automobilistica torinese: al primo piano di rilancio si sostituisce un secondo, di certo più contenuto. Quest’ultimo progetto di ristrutturazione viene ratificato dall’azienda, dalla Regione, e dal ministero dello Sviluppo economico nel 2008. A meno di anno dalla firma del piano B per Termini maturano gli interessi della Fiat per Crysler e per Opel e a luglio 2009 arriva la decisione: lo stabilimento siciliano chiuderà.

Oggi, a meno di una settimana dalla chiusura degli impianti Fiat, ancora si discute sul futuro. In queste ore a Roma per i sindacati un doppio appuntamento: il primo con la Dr Motor che ha già conquistato l’ok di Fim e Uilm al piano di acquisizione di Termini Imerese; il secondo con la Fiat che dovrà dare un risposta alle richieste di garantire gli ammortizzatori sociali ai lavoratori durante il subentro della casa molisana e di accompagnare alla pensione i circa 800 operai che hanno maturato i requisiti.

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