Missione di pace o missione di guerra? Non ci sono, comunque, eroi

Siamo in missione per conto di Dio, spiegavano Jack ed Elwood Blues, protagonisti del film di John Landis The Blues brothers, per giustificare tutti i loro danni: dovevano recuperare 5.000 dollari per pagare le tasse dell’orfanotrofio, retto da una perfida suora, dov’erano cresciuti, a rischio di chiusura.Siamo in missione di pace, ci ripete il governo italiano ogni volta che un contingente militare parte per una missione all’estero.

Possiamo definirle zone calde, zone a rischio o zone di guerriglia: la sostanza non cambia. Su quelle terre sono passati i carri armati di tutte le forze democratiche del pianeta. Hanno fatto piazza pulita di dittatori, talebani, armi chimiche (se mai ce ne fossero state), traditori, oppressori.Case distrutte, gente affamata, orizzonti desertici sono le immagini che passano i telegiornali. Vederli dal vivo dev’essere desolante.

Ora bisogna ricostruire, insegnargli la democrazia, i metodi di difesa, di controllo, dargli un’istruzione, una cultura.Ma una cultura, questi popoli, già ce l’hanno. A noi può non piacere ma va rispettata. Così si fanno coraggio e ripartono dalle loro macerie.C’è, però, chi non si arrende alla nuova presenza: è un invasore e non un liberatore, quindi un nemico da abbattere, ad ogni costo. Si accendono, così, focolai di guerriglia e bruciano dove possono, quello che gli capita a tiro. Poco importa se sono soldati italiani, americani, francesi o inglesi. Sono tutti della stessa risma. Ed è guerra perenne.

Abbiamo imparato come si scrive Afghanistan nel 2001, quando esplosero le Torri gemelle a New York. Bush doveva trovare un colpevole e aveva deciso di stanarlo proprio lì, in Afghanistan e la invase con il benestare della comunità internazionale.Ma Bin Laden, il nemico pubblico numero uno, non l’ha mai trovato e, a un certo punto, ha decretato che la guerra era finita ma che era necessario, comunque, rimanere lì: in missione di pace.

Tanti anni fa incontrai, per caso, un soldato che aveva prestato servizio in Somalia, in una missione di pace ante-litteram. Mi fece vedere uno squarcio, sulla schiena, suturato con una settantina di punti. Una coltellata, mi disse, non mi ero accorto che mi arrivava da dietro. E’ pericoloso, però mi danno 90 milioni (allora c’erano le lire) ogni due mesi che sto giù.

In molti sono entusiasti di tirare su un paese da zero e la gente che crede in questo miracolo li abbraccia e li festeggia.Anche padre Alex Zanotelli, missionario come tanti, parte per zone difficili, minate dalle guerre e dalla miseria. Anche lui ricostruisce e insegna come tornare, se mai l’hanno avuta, a una vita dignitosa. Non mi risulta che nel suo bagaglio, come in quello di altri volontari, ci siano armi. Non mi risulta che guidino carri armati. Non mi risultano vittime tra di loro. Gli unici morti che piangono sono quelli della fame e delle malattie.

Anche Padre Zanotelli, come i medici di Emergency, tanto per citare anche un esempio laico, vanno in missione di pace. Perché loro partono senza fucili di ultima generazione e le nostre forze armate sì? Servono i mitra per costruire case e scuole?

In questi giorni si è scatenata una polemica sull’argomento tra Monsignor Mattiazzo, vescovo di Padova, che, in occasione del funerale dell’ultima vittima della missione italiana in Afghanistan, il caporalmaggiore Luca Sanna, freddato nell’avamposto di Bala Murghab, il 18 gennaio scorso, ha commentato: non sono missioni di pace, i nostri soldati vanno lì con le armi, non facciamone degli eroi, vanno lì con i fucili.Dura la replica del ministro della Difesa Ignazio La Russa: un’opinione personale, certo, ma assolutamente sbagliata e anche un po’ ingenerosa […]; consiglierei al prelato di contare fino a dieci la prossima volta […]; sicuramente vale molto meno delle omelie dell’ordinario militare (riferendosi all’opinione di Monsignor Mattiazzo).

La missione di pace in Afghanistan costa all’Italia circa 300 milioni di euro all’anno. Perlomeno, questa è la cifra che abbiamo cominciato a sborsare dal 2007. In cambio abbiamo avuto 36 morti tra i nostri soldati e la zona da noi presidiata, armi in pugno ma con spirito pacifista, sempre più sotto tiro.Provate a moltiplicare quei 300 milioni per tutte le missioni di pace italiane in corso attualmente, dividete il risultato in sussidi mensili da 1.000 euro l’uno: quanti disoccupati ne usufruirebbero? E non ci sarebbero bare ricoperte dal tricolore su cui piangere.

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