Nei prossimi giorni il governo ed il parlamento regionale saranno chiamati a dare contenuto alla legge che consegue alla recente abolizione delle province, quali enti intermedi. Di tale legge si sa che dovrebbe entrare in vigore entro il 31 dicembre e regolamentare la costituzione dei “liberi consorzi” tra comuni, già previsti nello Statuto regionale. Oltre ai liberi consorzi, la legge dovrebbe anche costituire le città metropolitane, al pari dell’analoga istituzione che il parlamento nazionale ha creato nelle regioni a statuto ordinario. Nel frattempo, il governo Crocetta ha costituito gruppi di lavoro che hanno prodotto numerose ed articolate proposte, già inviate ai gruppi parlamentari dell’Assemblea regionale siciliana. La nascita dei liberi consorzi non dovrebbe riservare sorprese, in quanto è riconosciuta a ciascun comune la piena libertà di decidere se aggregarsi a questo o a quel consorzio, ovviamente in prosecuzione territoriale e sulla base di interessi economici, sociali e culturali comuni. Ogni consorzio, inoltre, dovrà ragionevolmente contare su un numero minimo di abitanti.
Diversamente, invece, sembra che sarà per le città metropolitane: Palermo, Catania e Messina. Infatti, il territorio di ciascuna di queste sarà stabilito per legge, senza alcuna possibilità di autodeterminazione da parte dei comuni inglobati e delle cittadine e dei cittadini “metropolizzati”. Tuttavia, l’obbligatorietà che scaturisce da una previsione del genere, se confermata in sede legislativa, appare configgere con i principi di libertà di aggregazione sanciti dalla Costituzione e dallo Statuto. Eppure, non è la prima volta che la Regione si misura con problematiche del genere. Sin dal 1986, con la legge regionale n.9, concernente “Istituzione della Provincia Regionale”, erano stati fissati i caratteri, le modalità di individuazione e delimitazioni e funzioni dell’area metropolitana. In base all’art.19 della suddetta legge potevano essere dichiarate aree metropolitane le zone aventi precise caratteristiche, fra cui una “sostanziale continuità di insediamento” ed un elevato grado di integrazione in ordine ai servizi essenziali, al sistema dei trasporti e allo sviluppo economico e sociale. Ebbene, quando gli esperti dell’allora Assessore agli Enti Locali proposero di includere Termini Imerese fra i comuni della costituenda area metropolitana, feci osservare che – quanto meno – mancava una delle caratteristiche essenziali: la “sostanziale continuità di insediamento” con Palermo e con gli altri comuni che effettivamente gravitano sul capoluogo. Feci osservare, altresì, che da sempre l’area comprendente Termini Imerese, Cefalù e gli altri centri delle Madonie ha formato un tutt’uno sul piano sociale, degli scambi commerciali e degli interessi culturali. E ciò è comprovato anche dal recente rafforzamento delle sinergie e delle intese di programmazione, collaborazione e sviluppo promosse dalle società consortili Sosvima e Imera Sviluppo. Il voler forzatamente estirpare Termini Imerese da un tale coacervo secolare servirebbe soltanto ad appiattirne l’identità, senza aggiungere poi molto al disegno della “Metropoli”. Al contrario, si indebolirebbe – e di molto – il territorio delle alte e basse Madonie.
Allora quella parte di legge naufragò. Anche oggi credo che ragioni per rifletterci ce ne siano di molto valide e, pertanto, evito di richiamare motivazioni di ordine storico e di ricordare che Termini Imerese vanta una tradizione bimillenaria di autonomia amministrativa che, in un colpo, verrebbe cancellata, riducendo una città a “quartiere” di Palermo, senza più Sindaco e senza Consiglio comunale.
Ma quali sarebbero i “benefici” che ne avrebbe oggi l’area imerese? Non certo nei trasporti. La stazione ferroviaria di Termini Imerese è interessata da alti livelli di pendolarismo verso Palermo da una parte e Cefalù dall’altra. Detto pendolarismo è incrementato dai tanti studenti e lavoratori provenienti dai paesi del circondario. Vogliamo estendere anche a questi paesi l’area metropolitana? In ogni caso, l’efficienza del servizio ferroviario è, e resterebbe, di competenza delle Ferrovie e della Regione. Che utilità porterebbe nella fattispecie fare parte o meno della Metropoli? Le utilità sarebbero allora i “servizi”: gestione dell’acqua, delle fognature, raccolta e smaltimento dei rifiuti, ecc.? Forse qualcuno alla Regione ha dimenticato che tali servizi sono gestiti da tempo a livello provinciale o comprensoriale. E ciò senza dover ricorrere alla città metropolitana.
Termini Imerese, in passato, quando necessario, ha ceduto parte della propria competenza territoriale, in funzione e nella prospettiva di un maggiore sviluppo. Si veda, per esempio, la costituzione dell’unica Autorità Portuale, che ha consentito l’effettuazione di opere importanti attese da decenni. Ma anche in questo caso le sinergie si sono conseguite senza fare ricorso alla città metropolitana.
Il parlamento regionale, pertanto, e con esso il governo sentano la gravosità della decisione ed ascoltino preventivamente il parere del popolo, confrontandosi con il Consiglio comunale che legittimamente lo rappresenta. Così come il Consiglio si faccia carico al più presto della problematica, coinvolgendo le varie componenti sociali e dell’associazionismo e sensibilizzando le forze politiche.
Termini Imerese, purtroppo, in questi ultimi anni ha perso migliaia di posti di lavoro, non ci sottraggano anche l’identità, cancellandone la storia.
Enzo Giunta: non ci sottraggano l’identità e la storia
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