Rete idrica: metà dell’acqua viene sprecata

Quasi la metà dell’ acqua potabile immessa nelle rete idrica nazionale va persa. Per la necessità di garantire la continuità di afflusso, ma anche per le cattive condizioni delle condutture, un’analisi che non è stata mai condotta in maniera sistematica dagli organi competenti. La quantità esatta di acqua potabile che viene sprecata in questo modo è il 47%, con punte che arrivano ad oltre l’ 80% ( 87% in Puglia, 85% in Sardegna): significa che su 100 litri immessi nella rete, 80 si perdono lungo la strada. I numeri si riferiscono al 2008 e sono contenuti nel rapporto Istat rilasciato in occasione della Giornata mondiale dell’acqua voluta dall’Onu e che si celebra il 22 marzo. L’istituto fa il punto – attraverso le sue statistiche e le sue indagini portate avanti negli ultimi anni – sull’uso delle acque urbane e sul ciclo idro-geologico. Le nostre rilevazioni tengono conto della differenza tra la quantità di acqua immessa in rete dai comuni e quella effettivamente prelevata dalle utenze, spiega a Wired.it Corrado Abbate dirigente di ricerca in statistica economica e metodologica dell’Istat: Non sappiamo, quindi, quanta acqua venga dispersa a causa di un cattivo stato delle condutture e quanta per le decisioni dei gestori sulla portata da garantire, per esempio durante le ore notturne o nella stagione secca. Vero è, racconta ancora Abbate, che negli ultimi anni si è investito poco o nulla nel controllo e nel miglioramento della rete idrica, mentre si è fatto moltissimo sul fronte della depurazione, altra spina dolente (fino a poco tempo fa) del nostro paese. Ogni comune dovrebbe svolgere delle valutazioni dello stato delle proprie condutture, conclude Abbate. Di quanta acqua parliamo? Sempre secondo il rapporto, nelle reti di distribuzione vengono erogati circa 8,1 milioni di metri cubi l’anno, che equivalgono a 136 metri cubi per abitante (questo valore è stabile nell’ultimo decennio). Nella classifica delle Regioni che immettono in rete più acqua pro capite primeggiano la Valle d’Aosta e il Lazio (con 182 e 172 metri cubi rispettivamente). Invece, la quantità di acqua potabile effettivamente prelevata (non solo per uso domestico) nel 2008 si aggirava sui 92,5 metri cubi per abitante, numero che fa segnare un + 1,2% rispetto agli ultimi 10 anni. La media Ue è di 85 metri cubi: ci superano in Gran Bretagna (110 metri cubi) e in Spagna (100 metri cubi), mentre la Germania è la più virtuosa, con un consumo di 57 metri cubi pro capite. Tornando in Italia, a consumarne di più è il Nord Ovest, che fa registrare 15 metri cubi in più pro capite sulla media nazionale. In Puglia – la regione con la maggior dispersione di acqua – vengono erogati appena 63,5 metri cubi per abitante, il valore più basso in assoluto. Un dato positivo: un’analisi del consumo per uso domestico in 115 capoluoghi effettuata nel 2009 mostra una diminuzione dello 0,7% rispetto all’anno precedente.

Un trend che continua dal 2001 e che testimonia una maggiore attenzione da parte dei cittadini italiani. Solo Milano è in controtendenza e registra un +1,5%. Forse perché è la città in cui il servizio idrico costa meno. Secondo un’ indagine di Cittadinanzattiva diffusa ieri, in generale il costo dell’acqua è fortemente aumentato. Tra il 2008 e il 2009, l’aumento medio è stato del 6,7%, ma a Palermo si è toccato un + 34%, a Viterbo un + 44,7% e a Treviso un + 53,4%. In dieci anni (da gennaio 2000 a dicembre 2010) l’aumento è stato del 64,4%. La spesa media annua di una famiglia di 3 persone (e un consumo complessivo di 192 metri cubi) è di 270 euro, che arrivano a 369 in Toscana, la Regione più cara. A questa somma devono essere aggiunti 480 euro per l’ acqua minerale, almeno per quella metà di italiani (54%) che dichiara di non bere acqua del rubinetto abitudinariamente. I motivi? Cattivo sapore (42%) e diffidenza nei controlli, soprattutto al Sud (52% contro 23% al Nord). Molta, infine, la disinformazione tra la popolazione, nonostante l’imminente referendum abrogativo di due articoli: il 23 bis del cosiddetto Decreto Ronchi ( legge 133/2008) sulla privatizzazione dell’acqua, e il 154 (comma 1) del decreto legislativo 152/2006 (il cosiddetto Codice dell’Ambiente).

wired

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