Regione Sicilia, in giunta 4 indagati: la questione morale avvolta dal silenzio

Da Repubblica Palermo
di Emanuele Lauria

Avvolta da un silenzio (quasi) generale, la questione morale in Sicilia si ingrossa ogni giorno di più. L’operazione Artemisia produce due effetti immediati: fa aumentare il numero degli assessori regionali indagati (che con Roberto Lagalla sale a quattro) e allunga nuove ombre sulla campagna elettorale per le regionali del 2017: con il coinvolgimento di Giovanni Lo Sciuto sono diventati 19 i candidati – tutti di peso – finiti nel mirino della magistratura. Per un totale di 147 mila voti “sospetti”, probabile oggetto di un mercato illecito fatto di favori e prebende.

È una stagione opaca, segnata dal ritmo delle inchieste: ben cinque – con annessi provvedimenti giudiziari – hanno scosso nel solo ultimo mese i palazzi della politica. Una sfilza di deputati regionali, o aspiranti tali, oppure ex, sono finiti sulle pagine dei giornali per l’accusa di essersi procacciati in modo illegale le preferenze: dai pacchi della spesa di Stefano Pellegrino (Forza Italia) agli strusciamenti con gli uomini di Matteo Messina Denaro di Paolo Ruggirello (Pd), dalle assunzioni promesse da Alessandro Aricò (Diventerà Bellissima) e Toto Cordaro (Popolari e autonomisti), alla rete politico-massonica che avrebbe sostenuto Lo Sciuto (Fi). In mezzo il sequestro di beni per 800 mila euro ai danni del presidente della commissione Finanze dell’Ars Riccardo Savona (Fi), reo secondo i magistrati di avere utilizzato i fondi della formazione per alimentare la sua base elettorale.
Un crescendo che riguarda soprattutto la provincia trapanese, che riaccende l’allarme del rapporto fra mafia e istituzioni (a detta di magistrati di punta quale il procuratore di Palermo Franco Lo Voi) ma che investe un ambito molto più ampio: «Poco importa che la parola mafia non compaia negli ultimi atti dei magistrati di Trapani – dice il presidente della commissione antimafia regionale Claudio Fava – ciò che preoccupa è il modo impunito con cui pezzi del sistema politico si erano messi al servizio di un disegno criminale disposto a corrompere tutti». Fava, dopo Pasqua, metterà all’ordine del giorno della commissione un’inchiesta sul voto inquinato.

Il bilancio è facile e non esaltante: nel governo regionale guidato da un presidente espressione di un movimento che si ispira a Paolo Borsellino («Diventerà bellissima») ci sono oggi quattro indagati. Uno su tre. E va aggiunta la condanna definitiva da parte della Corte dei conti, per circa 100 mila euro, a carico della new entry Antonio Scavone. Marco Falcone è sotto inchiesta per presunte pressioni subite per una nomina all’Iacp di Palermo, per Girolamo Turano si ipotizzano abuso d’ufficio e corruzione nell’ambito di una vicenda che ha portato all’arresto del capo del genio civile di Trapani Giuseppe Pirrello, Toto Cordaro avrebbe offerto un posto di corriere in cambio del sostegno al candidato sindaco di Termini Imerese Francesco Giunta. Poi Roberto Lagalla, e la storia della borsa di studio che, ai tempi in cui era rettore, avrebbe fatto avere personalmente alla figlia di un elettore di Lo Sciuto.
Una storia che costa all’assessore alla Formazione un’indagine per corruzione. Va detto che le accuse sono di varia gravità, e i reati non tutti pesanti, ma Musumeci nulla comunque dice. Neppure davanti al coinvolgimento, nelle azioni giudiziarie, di un numero crescente di esponenti della maggioranza: all’Ars sono già 16 su 70 i deputati indagati e tredici fanno parte della coalizione di centrodestra.

Davanti a tutto ciò, ieri, gli esponenti dei partiti tradizionali hanno evitato di far sentire la propria voce. Non l’ha fatto Musumeci, ma neppure il presidente dell’Ars Gianfranco Micciché. Non l’hanno fatto gli esponenti del Pd, che dell’Ncd al centro dell’inchiesta trapanese era alleato fino a pochi mesi fa. Non l’hanno fatto i rappresentanti di Forza Italia, che quegli stessi alfaniani hanno accolto nelle proprie fila dopo la diaspora. Si sono mossi i 5 Stelle, che sfidano l’effetto boomerang dei propri guai giudiziari (il caso De Vito a Roma) e con il capogruppo Francesco Cappello denunciano: «I voti di chi è ora indagato o, peggio, arrestato hanno contribuito a portare Musumeci alla guida della Regione». M5S ribadisce inoltre la richiesta di dimissioni del presidente della commissione Bilancio Savona. Ma la regola generale, di fronte al moltiplicarsi delle azioni giudiziarie, è quella di un riserbo che si potrae a oltranza.

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