di Laura Compagnino
“Ma come gli spercia (viene in mente)?” ripeteva, con le mani fra i capelli, il burocrate ottuso della Soprintendenza di Palermo, ogni volta che Sebastiano Tusa proponeva l’avvio di indagini sul campo. L’ultima idea che il professore gli aveva proposto, a suo parere era surreale: tornare a scavare in una grotta, nella curva della strada di collegamento fra la parte e alta e quella bassa di Termini Imerese.
“Lo capisci, vuole che io spenda soldi per cocci vecchi della preistoria” gridava al telefono il burocrate, chiedendo al politico di turno, la facoltà di fermare le mire di questo “fanatico”. Il politico aveva acconsentito di buon grado alla richiesta del dirigente, assicurando che avrebbe fermato “questo giovane camurruso”. Intanto lo studioso non si rassegnava e a furia di insistere, di invadere le scrivanie di documenti storici e di pubblicazioni sull’importanza di quel sito, li aveva presi per stanchezza, gli scavi sarebbero ripartiti. “Così si quieta” aveva commentato il burocrate, pregustando il momento in cui avrebbe detto a Tusa che i soldi erano finiti, che “si poteva attaccare al tram” come aveva già preannunciato ai fedeli ruffiani di corte.
E invece Tusa non si era quietato affatto. Al riparo del Castello di Termini Imerese aveva avviato un vero e proprio scavo, impegnandosi in prima persona con la vanga in mano per indagare sul passato tanto lontano di quel posto, abitato per la prima volta dall’uomo nel Paleolitico superiore. Chi partecipò a quegli scavi non potrà mai dimenticare l’emozione di Tusa nello scoprire un bellissimo manufatto in selce pregevolmente lavorato. Per chiunque altro sarebbe stato un banale pezzo di pietra vecchia, per l’archeologo, come per i suoi studenti che per lui si sarebbero fatti amputare un braccio, era il segno della vita vissuta in quella grotta, quando ancora nulla era stato inventato e sopravvivere era la conquista quotidiana.
Nei suoi progetti, sperava che le scoperte fatte in quel sito, convincessero i grand – commis regionali a farlo proseguire negli scavi, a ridare dignità a quel luogo, per troppi anni ridotto a discarica se non a latrina per qualche automobilista incontinente. Un sogno irrealizzabile, cosa poteva mai importare al mondo della peggiore burocrazia regionale, del Riparo del Castello di Termini Imerese, con tutte le sagre acchiappa consenso, con tutte le finte associazioni culturali, da finanziare?
Alla fine, memore della promessa di ‘farlo attaccare al tram’ espressa dal burocrate qualche mese prima, a Tusa fu comunicato che i soldi erano finiti e che lo scavo andava chiuso. “Vaglielo a spiegare a questi, l’importanza del periodo di Cro – Magnon” aveva detto Tusa ai suoi allievi. Chi c’era ricorda ancora l’espressione della sua faccia, quel misto di amarezza e voglia di rivincita, tipico di chi ha perso una battaglia ma vuole ancora vincere una guerra.
E sarebbe pure riuscito a farlo, se il destino non avesse deciso altrimenti in quel maledetto volo etiopico. Il presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci, con decoro, eleganza e stile ha atteso a lungo prima di celebrare in onore del suo assessore ai Beni Culturali una cerimonia, che alla fine si svolgerà il 10 giugno, con una messa di suffragio alle 17, nella Cattedrale di Palermo e con un momento commemorativo a seguire, a Palazzo d’Orleans. Con pia illusione, ci si augura che chi lo ha tanto boicottato da vivo, non lo ossequi oggi da morto, in quell’oscena retorica del dolore di cui tanti miserabili si fanno interpreti per assenza di meriti e di onore.
Una studentessa a cui lui ha insegnato ad amare in modo viscerale quel periodo della storia dell’uomo in cui ancora non era stata scoperta la scrittura, ha voluto dedicargli questo passaggio di un libro che a lui piaceva, “Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar. Sa la ragazza, che la memoria di ciò che Tusa è stato, lo ha reso eterno.
“La vita è atroce; lo sappiamo. Ma proprio perché aspetto tanto poco dalla condizione umana, i periodi di felicità, i progressi parziali, gli sforzi di ripresa e di continuità mi sembrano altrettanti prodigi che compensano quasi la massa immensa dei mali, degli insuccessi, dell’incuria e dell’errore. Sopravverranno le catastrofi e le rovine; trionferà il caos, ma di tanto in tanto verrà anche l’ordine. La pace s’instaurerà di nuovo tra le guerre; le parole umanità, libertà, giustizia ritroveranno qua e là il senso che noi abbiamo tentato d’infondervi”.
“Non tutti i nostri libri periranno; si restaureranno le nostre statue infrante; altre cupole, altri frontoni sorgeranno dai nostri frontoni, dalle nostre cupole; vi saranno uomini che penseranno, lavoreranno e sentiranno come noi: oso contare su questi continuatori che seguiranno, a intervalli irregolari, lungo i secoli, su questa immortalità intermittente. Se i barbari s’impadroniranno mai dell’impero del mondo, saranno costretti ad adottare molti dei nostri metodi; e finiranno per rassomigliarci”. Buon viaggio, professore.