Chi era Mimì La Cavera? La domanda, fatta anche ad addetti ai lavori quali economisti, politici o imprenditori, rischia di rimanere senza risposte.
C’è chi fa spallucce e chi ammette di non ricordare. E invece Mimì La Cavera morto poco più di un anno fa a 95 anni, checché se ne possa pensare, è stato uno dei personaggi più importanti di Palermo e dunque della Sicilia. Non solo perché è stato il fondatore della Confindustria siciliana, che a quel tempo si chiamava Sicindustria, e non solo perché è stato l’artefice dell’arrivo della Fiat a Termini Imerese convincendo Vittorio Valletta sull’opportunità e la convenienza di far produrre automobili nella piana di Imera. Punto di riferimento culturale della nuova Confindustria siciliana, con i ragazzi come li chiamava lui Antonello Montante e Ivan Lo Bello artefici di una indiscutibile stagione di cambiamento culturale degli imprenditori isolani, La Cavera ha fino all’ultimo fatto valere le ragioni di una Sicilia più libera, moderna, meno compromessa con logiche affaristico-mafiose, meno subaletrna. E proprio al primo presidente di Confindustria è dedicato il libro scritto dal giornalista del Sole 24Ore Nino Amadore dal titolo L’Eretico – Mimì La Cavera, un liberale contro la razza padrona: un volume in cui si racconta la storia e le battaglie di uno degli uomini più importanti di Palermo e della Sicilia, che ha avuto la capacità di animare per oltre sessant’anni il dibattito sullo sviluppo economico dell’isola tenendo sempre ben presenti gli interessi delle imprese siciliane. Il libro sarà presentato l’11 aprile a Palermo nei locali della feltrinelli in via Cavour alle 18: ad animare il dibattito che sarà moderato dal giornalista e scrittore Salvo Toscano, vi saranno (oltre all’autore del libro) Mario Filippello, segretario regionale della Cna, Elio Sanfilippo, presidente regionale di Legacoop, Alessandro Albanese, presidente di Confindustria Palermo.
Protagonista di un autonomismo autentico e prima ancora che politico economico e sociale, La Cavera, convinto liberale, è l’uomo che mette la firma al piano di ricostruzione di Palermo distrutta dalle bombe degli Alleati e cerca di dare una logica di sviluppo alla città. Ma La Cavera si ritaglia un ruolo da protagonista anche nel mondo imprenditoriale e comincia a elaborare la proposta che poi sfocerà nella Sofis, la Società finanziaria siciliana che doveva servire (con una sorta di private equity ante litteram) a stimolare la nascita di nuove imprese. E a seguire la sua amicizia con Enrico Mattei, il sostegno al governo Milazzo, le polemiche con i presidenti della regione del tempo (Franco Restivo o La Loggia), e poi il licenziamento dalla Sofis e l’emarginazione a Roma, il ritorno con il piano Sirap e l’onta del carcere per aver sostenuto un progetto di sviluppo di cui si è appropriata la mafia e gli affaristi. La Cavera, protagonista di grandi polemiche per esempio con Aristide Gunnella che era al centro studi di Sicindustria («Non mi piaceva» dirà lui stesso), indicato tra i mafiosi dalla commissione antimafia insieme all’avvocato Vito Guarrasi per aver avuto la colpa di essere un uomo di successo. Questa la storia, in sintesi del liberale che vene cacciato da Confindustria e dal suo partito e finì per diventare amico dei comunisti (di Emanuele Macaluso e di tanti altri, compreso Giorgio Napolitano che per il libro ha scritto un messaggio di ricordo di Mimì) e difeso da Pio La Torre.