Comunicato Stampa
Leggo con molte perplessità la lettera pubblicamente indirizzata dall’Arciprete Francesco Anfuso al Sindaco per protestare contro la lapide esposta dall’Amministrazione comunale, lo scorso 25 aprile, nel cimitero storico di Termini Imerese. La lettera è indirizzata al Sindaco, ma l’ANPI compare nell’intestazione della lapide e mi pare quindi doveroso fornire qualche chiarimento. Premetto che la Sezione termitana dell’Associazione Partigiani ha condiviso l’iniziativa col Comune, ma non ha avuto ovviamente parte nella collocazione del marmo, perché non di sua competenza. Le lamentele contenute nella missiva contengono tuttavia dei rilievi su cui è impossibile sorvolare: il primo riguarda la natura religiosa del monumento alla Madonna, a cui – per quel che scrive Padre Anfuso – non si addice una lapide che ricorda il sacrificio di cittadini termitani che hanno resistito e combattuto contro la dittatura e l’oppressione fascista e nazista. Prendo atto che la religiosità, come intesa nella lettera, è estranea a tali valori e comunque ai valori definiti “civili” che, per don Francesco Anfuso, sono ben altra cosa e mal si abbinano al sentimento religioso. La prima cosa che mi viene di pensare è che la sofferenza di una madre per il figlio morto, rappresentata dall’Addolorata, dovrebbe includere tutte le madri e tutti i figli e appare sconcertante che qualcuno voglia distinguere chi è accreditato a rientrarvi. I simboli, soprattutto se posti in un luogo pubblico, appartengono a tutti, credenti o meno: rivendicarne la proprietà equivale a volerne costringere il senso entro i propri schemi: chi vuole può farlo, ma è impresa vana. In tutti i casi, se la lapide apposta ai piedi della statua della Madonna provoca tanto disagio, mi aspetto che Padre Anfuso intraprenda fin da oggi una campagna per trasferire altrove la memoria di tanti imbarazzanti personaggi incisa su lapidi, cenotafi, iscrizioni e tombe che fanno bella mostra di sé nelle chiese e nei luoghi di culto di questa e di mille altre città, personaggi non sempre e non tutti in possesso di quelli che egli riconoscerebbe come attributi canonici della santità. Non intendo seguire l’Arciprete nelle ricognizioni storiche, tanto meno su remoti sovrani ellenistici: citerei le bandiere naziste con cui il vescovo e i parroci di Vienna decorarono le chiese e i loro altari il giorno dell’annessione al III Reich, ma solo per ricordare che la Storia è un terreno minato per simili rivendicazioni, visto che sarebbe facile snocciolare elenchi di eventi e personaggi di provata Fede che hanno negato diritti e libertà di culto, di pensiero, di espressione a chi la pensava diversamente da loro, o che (anche in tempi recentissimi) sono andati tranquillamente a braccio con chi lo faceva. Riguardo all’accusa di volersi “appropriare di simboli religiosi per esaltare il proprio idolo”, rivolta evidentemente ai promotori dell’iniziativa, vorrei rassicurare Padre Anfuso che l’Associazione Partigiani, nel profondo rispetto e nell’equidistanza da ogni legittima convinzione politica o religiosa, diffida degli idoli e cede volentieri ad altri le competenze nel merito; sulla Libertà sentiamo a buon diritto il dovere di rivendicarla, per gratitudine e senso di giustizia nei confronti delle vittime del nazifascismo. Per il resto, a me come a tutti, capita molto più frequentemente di leggere, ascoltare e vedere simboli e interventi religiosi su monumenti laici o nel corso di eventi “civili”, piuttosto che viceversa. A questo proposito, mi sorge un quesito: alla celebrazione del 25 aprile al cimitero di Termini era presente un parroco, molto attivo in questa comunità, che ha benedetto la lapide ed ha presieduto una vera e propria liturgia, con lettura dai testi sacri, richiami omiletici e invito alla preghiera collettiva. Peraltro l’intervento “religioso”, disinvoltamente noncurante della misura e dell’opportunità, è durato più di tutto il resto della commemorazione. Come interpretarlo? Un’imbarazzante e sciagurata commistione tra valori religiosi e valori civili? Una “appropriazione” religiosa di una cerimonia “laica”? Attendo con rispettosa curiosità che mi si chiarisca la contraddizione. Nelle more, ho il sospetto che il disagio dell’Arciprete si manifesti a tratti, quando ritiene che venga scalfito il diritto alla “custodia e la sorveglianza” (sic!) del patrimonio “culturale e morale” della Chiesa locale (che è quanto dire di tutti i cittadini termitani); ma che sia di idee molto più elastiche quando si tratta del contrario, ossia di accettare che la sfera religiosa invada, con riti e pratiche di natura confessionale, piazze, scuole, caserme, ospedali, feste civili e palazzi del potere. Ma quello che davvero fa un po’ di tristezza è, me ne scusi il Padre Anfuso, la angustia che aleggia nella lettera, la sensazione che, in tempi di reticolati e contrapposizioni, qualcuno preferisca escludere, piuttosto che includere e condividere. Per conto mio, continuo a pensare che le libertà democratiche, la partecipazione, la giustizia sociale, la lotta alle mafie e ai loro complici, la solidarietà e la convivenza civile, rientrano a pieno titolo e con assoluta priorità nella cultura e nella moralità di un Popolo. Con imperdonabile ingenuità pensavo anche che, evangelicamente, i “perseguitati per la giustizia” (Matteo, 5, 10-11) non avessero bisogno del nulla osta di ingresso rilasciata da autoproclamati “custodi” e “sorveglianti”, laici o religiosi che siano. Andrò comunque a rileggermi il Discorso della Montagna, augurandomi che, nell’anno della Misericordia, anche altri sentano il bisogno di farlo.
Fausto Clemente, presidente della sezione ANPI di Termini Imerese.