Il sindacato segna un punto sulla Fiat. Ma la vittoria della Fiom, con la riammissione delle delegazioni in fabbrica, lascia l’amaro in bocca ai lavoratori di Termini Imerese. Le dichiarazioni dell’ad, Sergio Marchionne, sembrano una storia già vista. E una storia che non è finita affatto bene.
“Subito una legge sulla rappresentatività sindacale o stop agli investimenti”, ha detto ieri il manager. Ma per chi ha visto chiudere i cancelli della fabbrica in cui lavorava l’annuncio suona come l’ennesima beffa.
“La verità – dice Roberto Mastrosimone, segretario provinciale della Fiom-Cgil – è che la politica è ostaggio di Marchionne. E questo a causa di un’anomalia tutta italiana: oggi Fiat ha il monopolio dell’auto in Italia, un monopolio acquisito grazie alla complicità di tutti i partiti. Se il mercato fosse libero Marchionne avrebbe più difficoltà, è la posizione di mercato che gli permette di minacciare il disimpegno”.
Un disimpegno che però negli anni è stato più di una minaccia con la chiusura dello stabilimento di Termini Imerese e i tagli dell’Iveco di Suzzara e dell’Irisbus di Valle Ufita nell’Avellinese. “Un Paese civile – continua Mastrosimone – dovrebbe interrogarsi se continuare ad essere o meno succube di Marchionne e la politica dovrebbe avere il coraggio di togliere ogni alibi alla Fiat. La Fiat ha un debito di riconoscenza nei confronti di questo Paese e Marchionne non può vedere solo la fine del film: l’Italia deve essere il punto fondamentale della produzione e per questo deve intervenire la politica o Marchionne continuerà a rilanciare”.
Un intervento della politica lo chiede anche la Fim-Cisl. “Le dichiarazioni di Marchionne – dice il segretario provinciale Giovanni Scavuzzo – sono pesanti, i lavoratori di Termini Imerese li vivono in maniera drammatica: qui la storia Fiat è un capitolo chiuso ma facciamo ancora fatica ad abituarci al fatto che la Fiat non è più quella degli Agnelli”. Un’azienda che cerca di ricollocarsi sui mercati internazionali e punta a soluzioni produttive più convenienti.
“È un’azienda – aggiunge Scavuzzo – che vuole cambiare pelle ed è necessario capire che interessi dell’azienda e interessi dei lavoratori vanno di pari passo perchè se non esiste l’una non esisteranno gli altri. Per questo è necessario un intervento dello Stato, quello che negli ultimi anni non c’è mai stato: mentre in Francia il governo ha fortemente orientato l’industria, in Italia non c’è stata una strategia industriale”.
E per Termini, quale futuro? “Termini non ha più un futuro nel settore auto – dice ancora Scavuzzo – per questo insieme alla Regione e al ministero dello Sviluppo Economico è in corso un tentativo di reindustrializzazione”. I numeri parlano chiaro: la Fiat è passata da oltre 2 milioni e 750 mila vetture prodotte negli anni Ottanta alle 400 mila vendute l’anno scorso. Un calo che non lascia grandi speranze.
Sul tavolo del Ministero ci sono otto proposte per la riconversione, da aziende manifatturiere a settori più nuovi come quello delle energie alternative. “Entro dicembre – conclude Scavuzzo – firmeremo il nuovo accordo di programma, Termini ha una grande tradizione in termini di produttività e di qualità che speriamo vengano riconosciute”.
Che la Fiat non abbia più alcun interesse per Termini sembra chiaro. “Poco più di un mese fa – dice Vincenzo Comella, – segretario provinciale della Uilm – alla Fiat è stato rivolto un ennesimo invito per produrre in Sicilia un modello low cost da vendere sui mercati emergenti: Fiat ha rifiutato. Non credo ci siamo ulteriori margini”.
Ma l’aut aut di Marchionne potrebbe, a sorpresa, trasformarsi in una nuova chance per Termini Imerese. “La legge sulla rappresentatività? Ben venga ma in questa trattativa affinchè Fiat mantenga gli investimenti in Italia si deve fare rientrare anche Termini. Proprio ieri sindacati e Confindustria hanno firmato un documento che prevede una cabina di regia al Ministero delle Attività Produttive, un tavolo che possa affrontare tutte le crisi industriali: a quel tavolo deve essere trattata anche la vicenda Termini Imerese”.