Fiat di Termini Imerese, l’incontro col governo per la riconversione

Si vedrà oggi lunedì 14 aprile, se l’ennesimo meeting fissato al ministero dello Sviluppo economico alzerà il velo su proposte finalmente concrete per la riconversione dello stabilimento Fiat di Termini Imerese. Una vicenda che riguarda il destino di 1.200 tute blu attualmente in cassa integrazione e in attesa di risposte da quattro anni e mezzo. Da quando cioè apparve chiaro che l’attività del polo produttivo a 35 chilometri da Palermo non fosse più funzionale alla strategia di ristrutturazione industriale annunciata dall’amministratore delegato Sergio Marchionne.
UN «CAPITOLO CHIUSO». La storica fabbrica siciliana, fondata nell’aprile del 1970 col nome di Sicilfiat, (la Regione Siciliana, tramite la Sofis, l’ente di finanziamento alle industrie, ne detenne per i successivi sette anni il 40% delle azioni), oggi rappresenta un «capitolo chiuso». Si è espresso così lo «stratega col maglione» due settimane fa al termine dell’assemblea ordinaria per l’approvazione del bilancio (l’ultima a svolgersi a Torino) di un’azienda che, dopo l’acquisizione dell’intero pacchetto azionario del gruppo Chrysler, guida una holding company globale (la FCA, Fiat Chrysler Automobiles) con sede legale a Amsterdam.
Adesso l’urgenza di scelte che lo Stato, la Regione e la stessa Fiat, devono assumere per ribaltare l’attuale scenario economico nella cittadina siciliana, rimane una patata sempre più bollente. Troppo il tempo perduto dietro dichiarazioni d’intenti di aziende dalla scarsa forza finanziaria.
LA SHORT LIST DEL 2010. Come quelle che composero una iniziale short list di sette progetti selezionata alla fine del 2010 da Invitalia, l’Agenzia nazionale incaricata dal governo per l’attrazione di investimenti. Una passerella di idee rivelatesi velleitarie. A cominciare da quelle che puntavano proprio sul rilancio locale del settore automotive.
Il progetto della Sunny car, per esempio, la vetturetta elettrica che doveva venire a costruire il colosso indiano Mahindra Reva in partnership con il fondo Cape Sicilia, capitanato dal finanziere agrigentino Simone Cimino. C’era il piano per la realizzazione di una citycar e di un Suv d’alta gamma della De Tomaso, storica fabbrica modenese di auto sportive, acquisita dall’ex uomo Fiat Gian Mario Rossignolo.
NELLA MORSA DELLA CRISI. E, di lì a poco, arrivò anche la Dr Motors, l’azienda di auto low cost con scocche importate dalla Cina, il cui presidente, l’imprenditore molisano Massimo Di Risio, si diceva disponibile a assemblare a Termini Imerese 60 mila vetture all’anno e a assumere tutti gli operai dello stabilimento. Il problema, però, era che nella sede di Macchia d’Isernia, tra il 2010 e il 2012, la produzione precipitava da 5 mila macchine immatricolate a appena 200, con un taglio del personale pari a un terzo.
I DUE OUTSIDER. A questi produttori se ne aggiunsero altri, di settori diversi. Tra questi, i fratelli Ciccolella, dell’omonima holding pugliese del florovivaismo e la società televisiva Einstein Multimedia, che attraverso i Med Studios aveva iniziato a produrre Agrodolce, la prima fiction tutta siciliana.
BEN 450 MILIONI DI FONDI. Approcci agevolati dalla prospettiva di accedere a risorse pubbliche cospicue: 450 milioni in tutto, tra fondi statali e regionali. Su questo inconsistente scenario, come se non bastasse, parve abbattersi anche una ‘maledizione’ giudiziaria. Cimino, Rossignolo e Ciccolella finirono agli arresti, con le rispettive accuse di aggiotaggio, concorso in truffa ai danni dello Stato e bancarotta.
Adesso affiorano nuove ipotesi. E l’idea dell’auto elettrica torna in cima. Si parla di un piano da 900 milioni di euro da parte di un grosso produttore asiatico, secondo i rumours la Mitsubishi o la Nissan. Sull’obiettivo di convertire lo stabilimento all’auto del futuro sono al lavoro due società di scouting industriale, la Pro Trade e la Career Counseling.
LA PROROGA DELLA CASSA INTEGRAZIONE. Ma il tempo, ormai, stringe per gli operai della catena di montaggio ormai ferma. Al ministero i sindacati chiederanno anzitutto la proroga di sei mesi della cassa integrazione, in scadenza a fine giugno. Se non la otterranno, si concretizzerebbe lo spauracchio del licenziamento di massa, in quanto la legge consente ai proprietari di far partire le lettere di licenziamento già 65 giorni prima della scadenza degli ammortizzatori.
«L’incontro del 14 dovrà necessariamente assicurare l’allungamento della cassa fino al 31 dicembre», spiega a Lettera43.it, il sindaco di Termini Imerese Salvatore Burrafato. «Sei mesi in più sono vitali per continuare a sperare e reperire un progetto davvero serio per salvare lo stabilimento». Ciò vuol dire mettere in chiaro la prospettiva degli operai Fiat e l’ammontare delle risorse che i nuovi investitori punteranno su Termini Imerese.
IL MIRAGGIO DELLA DR MOTORS. «Non si può dire che due anni fa non ci fossimo accorti della scarsa credibilità dell’ipotesi Dr Motors», aggiunge Burrafato, «ma abbiamo voluto dargli corso soltanto perché era l’unica che prometteva garanzie ai nostri cassintegrati. Adesso che la disillusione degli operai è arrivata al massimo livello, non possiamo permetterci di dar conto a ipotesi destinate a franare. Stato e Regione devono creare le condizioni per attrarre investitori credibili».
Sulla stessa linea Roberto Mastrosimone, segretario regionale della Fiom: «In questi anni sono state foraggiate solo speranze illusorie ed è un rischio che non è più possibile correre. Se si vuole puntare al suo reimpiego sempre nel campo dell’automotive, allora è inevitabile che chi lo venga a rilevare sia un’azienda affermata nel mercato internazionale».
L’ACCORDO FORMATO DA FIAT. La questione Termini Imerese è complessa. Lo stabilimento rimane ancora un asset della Fiat, la quale ha firmato un accordo di programma con cui si impegna a cederlo a condizione che l’azienda subentrante prenda in carico tutti i lavoratori.
I DUBBI DI CONFINDUSTRIA PALERMO. Ma, dice Alessandro Albanese, presidente di Confindustria Palermo, «quale azienda al mondo lo farebbe in questo modo, cioè senza un piano di riassunzione graduale? Sembra che questa sia una clausola studiata ad hoc tra la Fiat e lo Stato per scoraggiare l’arrivo di un concorrente diretto della casa del Lingotto, che In Italia detiene ancora la fetta più grossa del suo mercato, pari al 30%».
«BASTA SOLDI PUBBLICI». L’ingresso di un concorrente nel territorio italiano metterebbe quindi un punto definitivo al monopolio automobilistico di Corso Marconi. «Questo apparente ricatto si potrebbe però eludere», ipotizza Albanese, «puntando le risorse pubbliche sulla costruzione di un altro stabilimento nell’area industriale di Termini Imerese, dove gli spazi non mancano, in compartecipazione con l’eventuale nuova azienda automobilistica». La quale, aggiunge, «potrebbe per esempio essere reperita in Cina, dove ormai operano 65 produttori di automobili, di cui 20 specializzati in auto elettriche. Insomma, non è più possibile continuare a pagare pegno a Fiat con i soldi pubblici».
«Non vogliamo certo vivere di ammortizzatori sociali, ma la proroga della cassa consente una valutazione più attenta delle proposte che arriveranno sul tavolo del ministero», aggiunge Calogero Cuccìa, operaio specializzato in forza alla Fiat da 25 anni e delegato Fiom. «Il nostro stabilimento non merita di essere abbandonato. Non fosse altro che per il suo know how di alto profilo costruito in oltre 40 anni di storia e con una capacità produttiva di 750-800 auto al giorno».
COMPETENZE RICONOSCIUTE. Le competenze «dei nostri operai», conclude, «sono riconosciute da molto tempo e richieste anche negli altri stabilimenti italiani di Fiat. Per esempio, sono almeno 200 le tute blu di Termini Imerese che in questi ultimi anni hanno lasciato la Sicilia per trasferirsi nello stabilimento di Grugliasco».
Tra gli operai con famiglia a carico (la grande maggioranza tra quelli della fabbrica palermitana), il salario è l’unica fonte di reddito. «Siamo in cassa integrazione dal 23 novembre del 2011 e adesso, con gli ultimi ritardi sulle buste paga, siamo al collasso», racconta Gino Cosenza, 45 anni, da 15 anni operaio di linea dello stabilimento termitano. Dipendere dai genitori ormai anziani, per chi li ha ancora, è già una fortuna. Ogni volta che Marchionne pronuncia quelle frasi, gira il coltello nella piaga. Fino a oggi abbiamo sopportato logorìo e rabbia. Ma così non possiamo più andare avanti».

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