Si avvicina la triste fine del tentativo Di Risio, la scommessa dell’industriale molisano di riuscire a soppiantare la Fiat nella produzione automobilistica a Termini Imerese. La solenne promessa della Dr Motors di riuscire là dove Marchionne si era arreso, rischia il naufragio a meno di un anno dalla firma dei protocolli di impegno al ministero dello Sviluppo. Il 4 giugno, ennesimo giorno della verità, nelle stesse stanze del ministero si scoprirà se davvero Di Risio è in grado di proseguire o se invece deve lasciare, come quei corridori del giro d’Italia che abbandonano dopo la prima settimana. Si aprirà in quel caso il processo ai responsabili. Per quanto si possa criticare Sergio Marchionne, va riconosciuto che il Lingotto ha annunciato il suo disimpegno con 30 mesi di anticipo e ha ceduto gli impianti al prezzo simbolico di un euro. Perché la montagna di riunioni prodotta in 30 mesi ha partorito il topolino Di Risio? Quale diverso ruolo avrebbero potuto giocare il governo, l’advisor Invitalia e il suo amministratore delegato Domenico Arcuri? La storia di Termini non è dissimile a quella di Torino e Livorno dove il salvatore della vecchia Pininfarina, Gianmario Rossignolo, sta per gettare la spugna dopo aver prodotto, in tre anni, molte promesse e nessuna automobile. L’unico vero risultato è che ora ci sono migliaia di famiglie senza lavoro. Qualcuno pagherà per aver speculato sulle loro spalle?
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