Astensionismo al Sud, dov’è il problema?

Il disastro dei Cinque Stelle alle elezioni europee è stato imputato da Luigi Di Maio anche all’astensionismo al Sud, dove proponendosi come partito della spesa pubblica si pensava di fare il pieno. Invece il reddito di cittadinanza non ha elettoralmente funzionato. Inoltre molti pentastellati se ne sono andati: basti guardare al nostro territorio imerese dove si rimane il primo partito della città ma tra gli attivisti c’è il fuggi fuggi generale e quasi il 90% dei candidati alle comunali non c’è alla successiva tornata.

Ma al di là di Di Maio in generale o degli altri onorevoli e senatori nello specifico territorio, è una costante storica che nel Sud dell’Italia si voti meno che in altre regioni, ben lontani dalle vette dell’Umbria dove anche ieri si è recato alla urne il 67,6% degli aventi diritto. Record italiano, davanti all’Emilia Romagna e al suo 67,3%, mentre in fondo alla classifica ci sono Sicilia (37,5%) e Sardegna (36,25%).

La tendenza italiana è al ribasso: alle Europee del 2014 votò il 58,8% degli aventi diritto, contro il 56% di ieri. Non siamo comunque messi male, noni in Europa dietro al clamoroso 89% del Belgio, al 64 della Spagna e al 62 della Germania, ma davanti al 51% della Francia.

Cosa vogliamo dire? Una cosa sola: l’astensionismo non altera il voto, chi non è interessato alla politica o è indeciso lascia consapevolmente decidere gli altri al suo posto. Trump è stato eletto nel 2016 dopo una votazione a cui ha partecipato il 54,7% degli aventi diritto, chi fra il rimanente 45,3 si lamenta di lui avrebbe potuto andare a votare.

Qualcosa di simile è avvenuto per il referendum sulla Brexit: minoranze rumorose che protestano contro l’esito di una votazione a cui non hanno partecipato. L’affluenza nella fascia 18-24 anni fu del 36% mentre quella, per fare un confronto con teorici genitori, nella fascia 45-54 fu del 75%. Peraltro ancora oggi si dibatte sulla reale composizione di quel voto (estrapolata da sondaggi), perché non tutti i giovani erano studenti Erasmus anche se al giornalista collettivo piace pensarli così.

Nell’Italia in cui siamo cresciuti si riteneva che un voto in mesi troppo caldi favorisse la sinistra perché, questa la tesi sostenuta su giornali di primo piano, l’elettore di destra era (è?) meno interessato alla politica e più portato a privilegiare una giornata al mare rispetto ad una coda al seggio (mai trovata una coda al seggio in 32 anni, peraltro) elettorale. Fosse stato così, quest’elettore si sarebbe comunque meritato di contare zero.

Ma tornando al Sud, la domanda non è certo di tipo statistico: perché lì si vota, da sempre, così poco? La logica direbbe che dove l’economia funziona meglio dovrebbe essere più forte la politica, ma evidentemente ci sbagliamo. In ogni caso, da Reggio Calabria a Bolzano chi non va a votare delega le scelte sulla sua vita a chi ci va. Non può lamentarsi, dopo.

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