La Cassazione si è espressa: il venditore ambulante che adotta un comportamento insistente può essere colpevole del reato di molestie. Con la sentenza n. 35718/2018, gli Ermellini hanno precisato che, poiché la petulanza costituisce una modalità della condotta del reato di molestie prevista dall’art. 660 del Codice Penale, se messa in atto dal soggetto sarà già sufficiente: si parlerà di illecito penale.
L’episodio chiave che ha portato alla sentenza della corte è avvenuto nel palermitano, a Termini Imerese, dove il tribunale locale ha ritenuto l’imputato colpevole del reato di molestie nei confronti di una passante e potenziale cliente. Il venditore aveva cercato “di convincerla, in maniera pressante e impertinente, ad acquistare dei profumi”, coadiuvato da un socio. Il comportamento scorretto aveva avuto inizio mentre la donna era intenta a effettuare un prelievo al bancomat: l’imputato “aveva cominciato a parlarle del diritto al lavoro e quando la denunciante aveva accennato ad allontanarsi, aveva estratto dalla borsa un profumo tentando di convincerla ad acquistarlo”. In quel momento si è avvicinato anche l’altro socio. Come se non bastasse, la donna è stata rincorsa fino all’auto del marito che l’aspettava.
Denunciato, l’imputato ha però fatto ricorso. Per l’uomo il tribunale, nell’emettere la sentenza, si sarebbe basato sulle sole dichiarazioni della parte offesa. Inoltre, l’ambulante ha sostenuto che la finalità della condotta non era stata la molestia, ma la vendita del profumo. E proprio in merito alla prima contestazione, la Cassazione ha sottolineato che le dichiarazioni della persona offesa, se oggettivamente e soggettivamente credibile, possono anche costituire l’unica fonte di prova della decisione. In sostanza: se la vittima è attendibile, la sua dichiarazione può già “incastrare” il venditore molesto.
Per quel che concerne la contestazione delle finalità di condotta dell’ambulante, gli Ermellini l’hanno ritenuta irrilevante, affermando quanto segue: “La sentenza impugnata ha ampiamente ricostruito i fatti, descrivendo il comportamento insistente sopra ogni limite tenuto dall’imputato (si è evidenziato come il medesimo non si fosse limitato a reiterare la, già rifiutata, offerta di vendita del prodotto, ma avesse rincorso e tallonato la donna fino a quando la stessa non aveva raggiunto l’autovettura del marito)”. Per la Cassazione è stato definito correttamente il suo comportamento come “pressante, indiscreto e impertinente”. Detto in altri termini, una solida e concreta dimostrazione del perché spesso il fine non giustifichi i mezzi.
Fonte: ResponsabileCivile.it