Ad aggiungere un ulteriore tassello alla spinosa vicenda della sospensione della fiction siciliana Agrodolce le dichiarazioni (riportate dal quotidiano Libero) di alcuni giorni fadell’ex responsabile Rai per la soap Ruggero Miti. «Quando le produzioni vanno in Sicilia», dice Miti, «devi sottostare alle regole legate alle tradizioni dell’Isola: non puoi scegliere liberamente le comparse ma c’è qualcuno che te le porta». E continua: «Io ho chiamato Josi e lui mi ha fatto una scenata incredibile dicendo che rapporti con mafiosi non voleva averne».
VICENDA TORBIDA – Parole forti alle quali fanno seguito articoli e interpellanze come quella del senatore Pd Giuseppe Lumia ma che non sciolgono nodi e ombre sulla vicenda. «La sospensione della produzione della fiction Agrodolce si staglia su uno scenario torbido costituito da giochi di potere, speculazioni finanziarie, nepotismi e contatti con ambienti mafiosi», scrive Lumia componente della commissione parlamentare antimafia. A chiedere chiarezza anche il senatore Pancho Pardi, capogruppo dell’Italia dei Valori in commissione di Vigilanza Rai: «I vertici Rai rispondano sulla fiction siciliana Agrodolce, sui costi sostenuti, sui finanziamenti avuti dalla Regione Sicilia, sui rapporti con la società di produzione Einstein e sulla oscura rete di interessi e di pressioni che si è costituita attorno a una soap opera chiusa tra troppe ombre dopo una sola stagione».
TERMINI COME CINECITTA’ – Nel 2005 a volere fortemente la fiction «made in Sicily», si legge in una ricostruzione de Il Fatto, erano stati in tre: il direttore di Rai Educational Giovanni Minoli, quello di Rai Fiction, Agostino Saccà, e la Regione siciliana. L’intento dichiarato era quello di creare a Termini Imerese una nuova Cinecittà: 230 puntate girate, al costo di 100 mila euro ciascuna. Non è andata così. Su Agrodolce è calato il sipario con 134 persone finite in cassa integrazione.
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