4 Novembre 2021 – Conferimento Cittadinanza Onoraria al Milite Ignoto

In occasione del 4 Novembre, Giorno dell’Unità Nazionale e Giornata delle Forze Armate, sarà conferita la Cittadinanza Onoraria al Milite Ignoto ad un secolo dalla sepoltura al Vittoriano.

Dai filmati dell’Istituto Luce, emerge la figura di Maria Bergamas. Povera contadina di Gradisca di Isonzo, madre di un figlio mai più tornato dalla guerra, fu chiamata a dialogare con le undici bare allineate ai piedi dell’altare della Cattedrale di Aquileia gremita e silenziosa. Undici martiri “senza nome” e lei ha il compito di scegliere “un figlio” e affidarlo ad una maternità condivisa, universale, ad un’intera nazione, a tutto il suo popolo.

Vestita di nero, col velo davanti agli occhi, abbracciò ogni bara come fosse quella del suo figlio sventurato. Come poter scegliere? Come poter decidere tra undici figli uguali nella sventura? Madre di tutti quegli ignoti, Maria Bergamas stabilì il candidato all’onore patrio, non con una scelta, ma svenendo definitivamente davanti alla sua bara. La decima. Il viaggio che portò a Roma il Milite ignoto fu epico. Si compì sulla linea Aquileia- Venezia Bologna-Firenze- Roma a
velocità moderatissima. Lungo i binari, al passaggio del treno che a passo d’uomo trasportava quel figlio senza nome, milioni di italiani salutarono assiepati lungo i binari, quel figlio di tutte le madri e di tutti i padri d’Italia. Un funerale di massa, dove ogni donna e ogni uomo potè piangere in quello sconosciuto soldato il proprio figlio, o marito o padre o fratello. Lì, per la prima volta, al di là delle pretese della politica e degli intellettuali, gli italiani si facevano da sé, si riconoscevano intorno ad una vita spezzata. E così, terminata da poco la guerra, l’Italia fondava la propria identità su un povero figliolo senza nome che era chiamato a rappresentare tutti i figli d’Italia caduti e mai più tornati. Infiniti ignoti su cui l’Italia affondò le proprie radici.

Occorre tuttavia ricordare che, in un momento storico di grandi rivolgimenti politici, l’omaggio postumo al soldato senza nome, divenendo un potente simbolo di coesione sociale e nazionale, proprio nel nome dei sani valori che esso veicolò, fu al centro di una nuova retorica che rinfocolò i nazionalismi e spinse verso una stagione di dittature e nuove violenze.

Perché allora, alla vigilia del centenario, oggi dovrebbe essere importante riappropriarsi di un simbolo legato al conflitto più sanguinoso della storia, a ciò che Benedetto XV definì una “inutile strage”?
Riteniamo che, in questi tempi difficili, seppure non a causa di un grande conflitto convenzionale ma per la crisi di un modello di vita che pensavamo fosse ormai consolidato, c’è bisogno di spirito di sacrificio; che sia necessario riappropriarsi di una idea condivisa di bene comune, da perseguire anche a scapito della propria individualità.

Il messaggio più sublime che possa venire dalla tomba del Milite Ignoto è proprio questo: un secolo fa ci sono stati giovani capaci di sopportare condizioni estreme, e di esporsi al pericolo fino ad affrontare la morte, pur sapendo che il loro contributo personale era poco più di una goccia in un mare in tempesta. Il sacrificio non come affermazione del proprio ego, dunque, ma come consapevole rinuncia ad esso in nome di uno sforzo collettivo e condiviso. È questo che rende l’uomo degno per sempre di memoria, anche se ha perso il suo nome. L’iscrizione posta sull’analogo sacrario di Westminster è chiusa da queste parole: They buried him among the kings because he had done good toward God and toward his house: “Lo hanno seppellito tra i re perché ha ben meritato verso Dio e verso la sua casa”.

È questo il significato ultimo del fare memoria del Milite Ignoto, ricordare quei sacrifici e ricordare quanti vissero, patirono e morirono in obbedienza al comandamento del dovere verso la collettività. Ricordare il Milite Ignoto significa quindi riscoprire la comunità ideale di cui si fa parte. Ricordare il Milite Ignoto significa rafforzare l’impalcatura ideale che sorregge la struttura della nostra comunità nazionale, sottolinearne l’identità e alimentare il senso di appartenenza.

Nel 1953, poco prima di morire, Maria Bergamas espresse un desiderio: essere sepolta con i dieci suoi figli senza nome e senza l’onore dell’Altare della Patria. Essi già riposavano nel piccolo cimitero militare di Aquileia. Fu esaudita. Chiese perdono al marito e ai figli, e alla sua morte vennero riesumati i dieci soldati, posti intorno a quella madre che tanto li aveva amati. Oggi riposano insieme in una tomba che li accoglie sotto un piccolo altare che è un inno alla patria e
soprattutto il canto della maternità. Il 4 Novembre, dunque, onoreremo nel Milite Ignoto le donne della Grande Guerra ed il loro preziosissimo contributo. Le donne che hanno sostituito gli uomini al fronte nelle campagne e nelle fabbriche, negli uffici e nel terziario. Quelle che prestarono opera di assistenza civile sia nelle grandi città sia nei piccoli comuni in un paese in cui non esisteva l’assistenza pubblica e non c’era nessun sistema di protezione per le fasce deboli della popolazione. Che si sono viste portalettere e tramviere. Quelle che hanno permesso al fronte interno di reggere tre anni di guerra grazie alla loro mobilitazione. Le donne in prima linea: dottoresse, infermiere e le celebri “portatrici carniche”.

Questi nobili valori, seppur non cancellano l’orrore della guerra, non permettono spazi di equivocità rispetto alla condanna di ogni forma di guerra e di violenza; né alla veicolazione di alcuna forma surrettizia di patriottismo che aspiri ad instillare, soprattutto fra i giovani, nuove forme di nazionalismi. La Storia insegna che nel procedere umano non vi è mai nulla di definitivo. Che la Democrazia così come la Pace, conquistate col sacrificio di migliaia di giovani vite, vanno riaffermate prima che difese, ogni giorno. Che tali conquiste, così come accade in ambito scientifico, non sono raggiunte una volta per tutte. Esse pertengono all’ordine morale delle cose e pertanto alla coscienza, la quale come ricorda Hannah Arendt, è quel sottile “dialogo di pensiero tra sé e sé stessi”, che ci rende capaci di discernere il bene dal male, la bellezza del mondo dalle sue brutture.

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