«Progetti immediatamente cantierabili» per evitare lungaggini burocratiche. L’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi sbarcò in Sicilia più volte, l’ultima nel settembre 2016, oltre due anni fa, per annunciare lo sblocco di un fiume di denaro attraverso il Patto per la Sicilia. Ma ad oggi sono stati concretamente spesi, con lavori in corso anche se non completati, dei 2,3 miliardi di euro, solo 250 milioni sono stati appaltati. Il resto, oltre due miliardi, rimane nei cassetti diviso in una miriade di stazioni appaltanti impossibili da controllare in maniera capillare: oltre 400 tra Comuni, uffici del Genio civile e dipartimenti regionali.
Dopo una infuocata riunione con i dirigenti generali, arrivano i primi provvedimenti di Musumeci. Il dirigente del dipartimento Attività produttive, Rosolino Greco, che si è trovato una spesa da 300 milioni di euro da controllare, ha proposto una soluzione e ha avuto il via libera da Musumeci: «Chi non spende i soldi, li perde».
Così ieri lo stesso dirigente avrebbe inviato gli ispettori a Gela e a Termini Imerese, le due aree industriali finanziate con il Patto per la Sicilia attraverso il suo dipartimento, per avviare la revoca dei finanziamenti: «Le somme saranno dirottate in altre iniziative», dicono dalle Attività produttive. Insomma, passeranno altri anni prima che queste somme arrivino davvero sul territorio.
Dal Comune, il Sindaco Giunta nega che siano approdati agli uffici comunali commissari della regione.
Il problema è che la Sicilia da due anni ha 2,3 miliardi di euro da spendere in appalti per infrastrutture, ambiente, sviluppo economico e turismo, e la gran parte delle somme è congelata. I dati sono stati consegnati al governatore Musumeci: della dotazione di 2,3 miliardi a oggi sono in fase di progettazione interventi per 1,1 miliardi e in fase di esecuzione, cioè già appaltati, 250 milioni. Questo significa che per circa un miliardo di euro non c’è alcuna traccia nemmeno dei progetti. Ma non dovevano essere tutte opere «immediatamente cantierabili», quelle finanziate con il Patto, per incrementare subito il Pil della Sicilia e dare lavoro a imprese e disoccupati?
Proprio per questo ieri il dirigente generale Greco ha inviato due dirigenti e un gruppo di funzionari al Comune di Gela, al dipartimento Protezione civile di Catania, al Comune di Termini Imerese e all’Autorità portuale di Palermo per capire perché non è stato speso un euro dei fondi destinati alle due aree industriali. Nel dettaglio il Patto prevedeva, fra le altre cose, 20 milioni per riqualificare la zona industriale di Termini abbandonata da anni, un milione di euro per il rifacimento delle banchine del porto di Termini e, ancora, nella zona di Gela 15 milioni di euro per impianti ricreativi e sportivi, 9 milioni per il rifacimento di strade e piazze, un milione per un nuovo asilo nido, tre milioni per il rifacimento del lungomare dagli impianti Eni al centro. Con questo atto si «avvia il procedimento di revoca qualora dovesse essere acclarata la continua inerzia colpevole delle amministrazioni interessate nella qualità di stazione appaltante». In sintesi, per la prima volta si avvia la revoca dei fondi non spesi del Patto per la Sicilia. Un precedente che adesso riguarderà tutte le amministrazioni e le stazioni appaltanti, Comuni ed enti, inadempienti e che non hanno speso le somme nonostante siano trascorsi oltre due anni dalla firma del decreto di Renzi che stanziava i finanziamenti.
Da spendere ci sono i fondi per la ristrutturazione di parrocchie e chiese, circa 150 milioni, e le somme per la riqualificazione urbana, altri 200 milioni di euro. Per infrastrutture, su 719 milioni di euro, a oggi sono in fase di spesa 95 milioni. Ma non c’è traccia degli appalti per riqualificare le dissestate strade provinciali, ben 50 milioni di euro che rimangono nei cassetti. La colpa dei ritardi in grandissima parte non è imputabile tanto alla Regione, ma a Comuni ed ex Province che non hanno presentato i progetti esecutivi o avviato le gare di appalto. I fondi del Patto per la Sicilia sono gli unici finanziamenti, insieme ai fondi Ue, che la Sicilia ha in dote per lo sviluppo.
Il governatore ha esultato per l’avvenuta certificazione di oltre 700 milioni di fondi europei come da target per il 2018. Il Movimento 5Stelle lo ha duramente criticato parlando di «bluff». Per certificare la spesa sono stati “caricati” a valere sulla programmazione Ue vecchi appalti che avevano altre fonti di finanziamento, come la Palermo-Agrigento, ad esempio. Così, nel 2018, di spesa vera sul territorio attraverso i fondi di Bruxelles se n’è certificata poca. Anzi, attraverso l’escamotage della riduzione del cofinanziamento, si è abbassata la soglia di spesa di circa 60 milioni e si è raggiunto l’obiettivo. Ma di fatto 60 milioni che potevano essere utilizzati sono stati così cancellati.
Tratto da Repubblica Palermo del 09-01-2019