Pagliaro (Cgil Sicilia): Bene i dati sul turismo ma l’industria cala ancora

«I dati sull’aumento dell’occupazione fanno ben sperare, ma è il calo nel settore dell’industria a preoccuparci. Il governo regionale la smetta con gli annunci e lavori per rilanciare questo settore». Lo afferma Michele Pagliaro, segretario generale della Cgil siciliana, commentando i dati dell’Istat sull’occupazione nel periodo tra aprile e giugno.

L’aumento dei posti di lavoro in Sicilia è legato alla riforma del lavoro del governo Renzi, il Jobs Act?

«In realtà sul Jobs Act sono stati forniti numerosi dati ma solo a fine anno avremo i risultati reali perchè solo allora potremo verificare effettivamente la quantità delle assunzioni. Il meccanismo infatti garantisce chi assume solo se ci sono le risorse, così moltissime imprese hanno prenotato il bonus per poi firmare i contratti in un secondo momento. Quindi solo tra qualche mese capiremo se effettivamente a quelle prenotazioni corrisponderanno nuovi posti di lavoro».

Quindi come legge i numeri sull’aumento dell’occupazione in Sicilia?

«Questi dati raccolti dall’Istat sono trimestrali e sono certamente positivi. In Italia ci sono 180 mila posti in più di cui 120 mila sono nel Mezzogiorno e 32 mila in Sicilia. Ma se andiamo nel dettaglio, scopriamo che in agricoltura abbiamo 9 mila posti in più, nell’industria 4 mila in meno e nel commercio e turismo 26 mila posti in più. Quindi ritengo con buona probabilità di poter dire che siamo di fronte a lavoro stagionale. Ed effettivamente i risultati fanno il paio con i dati del turismo che sta andando bene per via della crisi e degli episodi di violenza in Paesi turistici del Mediterraneo che hanno reso la Sicilia meta privilegiata».

Perchè il tasso di disoccupazione continua a non calare?

«Perchè in Sicilia come in tutto il Mezzogiorno scontiamo un numero altissimo di neet, sigla che identifica tutti quei giovani che non studiano e non lavorano. Quando questi sono censiti dall’Istat e tornano a cercare un’occupazione, provando dunque a entrare nel mercato del lavoro, vanno a incidere nella voce disoccupati. Per questo motivo il tasso di occupazione passa dal 39 al 40 per cento mentre il tasso di disoccupazione resta fisso. I neet in Sicilia sono tantissimi, si stima oltre 300 mila. Poi volendo azzardare potrei dire che sul dato dell’occupazione incidono anche i tantissimi tirocini avviati con Garanzia Giovani. In un primo tempo erano 13 mila poi sono saliti a 22 mila».

Quindi a suo avviso i dati sono destinati a calare?

«Il problema è far diventare questi numeri strutturali. La rilevazione dell’Istat dimostra che la disoccupazione giovanile è ancora inchiodata. E soprattutto ci preoccupa il fatto che l’industria perda 4 mila posti. Non siamo un’isoletta sperduta, siamo una regione con 5 milioni di abitanti che non può fare a meno del settore industriale. L’apparato produttivo in senso stretto si è ridotto con la crisi del 40 per cento. Bisogna assolutamente rilanciare questo settore. Penso all’Eni a Gela, alla Fiat di Termini Imerese e a tutto quello che sta accadendo nelle aree industriali della Sicilia».

Concretamente cosa si potrebbe fare per rilanciare l’industria?

«Il tema vero è dare al lavoro quella centralità che è sempre mancata. La politica non è riuscita a costruire, a valorizzare l’industria partendo dalle cose che abbiamo, dalla raffinazione, dalle bonifiche, dalle riconversioni. Ci sono colossi come l’Eni pronti ad andare via, c’è tutta la cantieristica che va a rilento. Si discute ancora sull’assenza dell’assessore regionale alle Attività produttive ma il problema è che in quasi tre anni sono stati cambiati quasi quaranta assessori e questo è un limite all’azione di un governo che punta alle riforme. Se in Sicilia non ci sono progetti, se non si spendono le risorse comunitarie, bisogna capire perché. E soprattutto bisogna intervenire cacciando via chi ha responsabilità sugli errori».

Dalla politica arrivano però critiche al sindacato, perchè ad esempio avrebbe bloccato i trasferimenti dei regionali e quindi la spesa dei fondi comunitari ne ha risentito.

«Penso che quando la critica è costruttiva, siamo pronti ad accettarla. Ma quando siamo di fronte a una politica interventista, decisionista, che poi scarica sugli altri le colpe se le cose non funzionano, allora non ci stiamo. La politica deve capire che il cambiamento non può essere dettato dall’alto, senza tenere conto e coinvolgere chi poi deve essere il protagonista. Credo che oggi in questa regione bisogna partire con una bella operazione trasparenza sui conti, per chiarire una volta per tutte quali sono le spese su cui potere risparmiare. Dalla sanità alla centrale unica degli appalti fino alla riqualificazione della spesa, è questo che bisogna fare, non prendersela sempre coi più deboli».

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