Mio padre mi sparava non credevo ai miei occhi

Ho sentito mio padre armare la pistola in camera da letto. Poi è arrivato da me. Eravamo faccia a faccia. Ho tentato di disarmarlo, poi il colpo in fronte. Mi sono girata, ho corso lungo il corridoio. È partito il secondo colpo. Dietro l’orecchio. Sono caduta. È stato terribile. Non credevo ai miei occhi. A meno di 24 ore dalla tragedia, Ornella mette in fila, confusamente, i frame del film dell’orrore di cui è stata protagonista. Lo fa a più riprese, davanti ai medici e alla psicologa che l’hanno assistita per una notte intera in una stanzetta d’isolamento del pronto soccorso dell’ospedale Civico.

Un racconto disarticolato e pieno di buchi, fatto anche davanti alla polizia, che ricostruisce quegli attimi di follia che hanno spinto il padre, Agostino Bova, 56 anni, ex operaio della Fiat, a impugnare la pistola per sterminare la sua famiglia e darsi la morte subito dopo. Quella calibro 6,35, adesso, è al centro delle indagini della polizia e del sostituto procuratore Giacomo Urbano: l’arma è risultata rubata. E con molta probabilità Bova l’ha acquistata al mercato nero. Ieri in commissariato sono stati sentiti anche su questo punto la figlia Valentina, i vicini e i conoscenti di Bova.

Un tassello, in questa tragedia, che rafforza l’ipotesi della premeditazione da parte dell’ex operaio della Fiat. In casa, infatti, Bova aveva altre due armi, una calibro 22 e un fucile calibro 12, regolarmente detenute. Forse ha acquistato un’arma più potente per non rischiare di fallire i suoi obiettivi. Secondo una prima ricostruzione, Ornella si sarebbe salvata proprio grazie alla mira poco precisa del padre, per via delle due dita mancanti nella mano destra.

Quando ieri mattina Ornella si è svegliata, dopo una notte passata in barella, a tenerle la mano c’era il fidanzato Marzio Favognano. È stato lui il primo a sapere dell’accaduto: Ornella lo ha chiamato al cellulare per lanciare l’allarme. In mattinata il ragazzo si è dovuto allontanare per essere interrogato dagli investigatori. A dargli il cambio, un cordone di zii e cugini pronti a fare da scudo contro intrusi e cronisti. La bambina – diceva una zia materna, occhi lucidi e voce rotta – non sa ancora che la madre, mia sorella minore, non ce l’ha fatta. Le abbiamo detto che è gravissima, stiamo tentando di prepararla gradualmente al trauma e non vogliamo che lo sappia dalla stampa.

Del suicidio del padre, invece, Ornella sapeva già: È rimasta impassibile, si fanno sfuggire i familiari. Di quel padre, uomo taciturno e riservato, Ornella ricorda lo sguardo folle che ha scorto nella concitazione di quegli attimi incredibili. Anzi, sono proprio quegli occhi l’immagine più vivida, quella che Ornella descrive con maggiore lucidità. Rabbrividendo.

Ad accompagnarla lungo il sentiero dei ricordi, una psicologa volontaria e i parenti della madre: Niente interviste – ripetono – ha bisogno di elaborare il lutto. Alle dieci i medici di guardia in pronto soccorso la visitano. Ornella racconta di un fastidio all’udito: uno dei colpi, il secondo, l’ha ferita di striscio proprio dietro l’orecchio. Scortata da un portantino, la ragazza viene trasferita al reparto di audiologia. Durante la spola da un reparto all’altro, parla al cellulare con amici e parenti. Li rassicura. Ed è sempre lei che, alle 13, chiede ai medici di dimetterla con qualche ora di anticipo rispetto al previsto: Voglio tornare a casa.

Prima di uscire dall’ambiente protetto dell’ospedale, però, deve sapere la verità. Sostenuta dalla sorella minore, Valentina, 26 anni, e dalla psicologa, Ornella apprende della morte della madre. Ancora in pigiama, attraversa i corridoi dell’ospedale ed esce dal retro del pronto soccorso. Monta su un’utilitaria rossa guidata da uno zio e sparisce dietro il finestrino.

A Termini Imerese, un paese ancora attonito, ci sono i familiari ad attenderla. In via Navarra 6, un condominio all’interno di una cooperativa, teatro della tragedia, l’eco di quegli spari è ancora difficile da dimenticare. Gli inquilini si informano sui funerali. Ma è ancora presto per piangere le vittime. Oggi ci sarà l’autopsia nel reparto di Medicina legale del Policlinico. Ho sentito tre, quattro, e poi ancora spari – racconta la signora Indovina, che abita al quarto piano dello stabile beige – Stanotte non abbiamo dormito. Ho una bambina piccola ancora sotto choc.

A vedere la ferita in fronte a Ornella è stata per prima Anna Venticinque. Abita sullo stesso pianerottolo dei Bova, al terzo piano: Non ho sentito gli spari, ma le urla disperate di Ornella e poi quelle della cugina Ivana e del marito Dario. Anche loro abitano nello stesso stabile. Ivana Mercurio ha cercato di soccorrere la cugina, ma in preda al panico è riuscita solo a dire: Anna ti prego chiedi aiuto. Dario piangendo ha esclamato: È successo un macello.

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