Macchia d’Isernia e Termini Imerese, due destini incrociati che passano per la Dr Motor

O dentro o fuori. L’incontro tra le parti previsto per il 3 maggio a Roma, nella sede del ministero dello Sviluppo economico, ha tutta l’aria di essere quello decisivo. Solo tra una settimana, dunque, si saprà se il rilancio dell’ex stabilimento Fiat di Termini Imerese passerà ancora per Macchia d’Isernia, attraverso la Dr Motor, oppure se bisognerà cercare altre strade.

In effetti, sembrano lontani i tempi in cui si brindava all’intesa tra il manager molisano Massimo Di Risio, i sindacati, la Regione siciliana e il ministero. Negli ultimi quattro mesi, in effetti, l’operazione di rilancio del sito industriale termitano ha subito una brusca frenata. La Fiat ha chiuso e da quel giorno nello stabilimento non si è più mossa una foglia. Cosa è successo in tutto questo tempo? Perché dopo aver superato l’ostacolo più duro – i sindacati – il piano industriale della Dr Motor si è arenato?

Il problema riguarda i finanziamenti. Le banche che dovrebbero concedere il prestito hanno preso tempo. Qualcosa non convince in questo progetto. Né i problemi della casa madre in quel di Macchia d’Isernia sembrano aiutare: il bilancio chiuso in passivo, i ritardi accumulati nei pagamenti degli stipendi agli operai e la richiesta di cassa integrazione di certo non hanno contribuito a dare l’idea di una situazione economica florida. Ma Di Risio è convinto della bontà del suo progetto. Sembra esserne convinto anche il presidente della Regione, Raffaele Lombardo. Né manca il sostegno dell’advisor Invitalia, che porta avanti la trattativa per conto del ministero dello Sviluppo economico.

Negli ultimi giorni, comunque, si intravedono nuovi spiragli per una soluzione positiva della vertenza. Le (presunte) perplessità degli istituti di credito potrebbero essere superate grazie all’innesto di nuovi soci. Stando ai rumors degli ultimi giorni, sembra che la stessa Regione siciliana abbia intenzione di acquisire una quota di minoranza della newco targata Massimo Di Risio. Lo farebbe attraverso una società controllata. Ma su questa ipotesi pesa un grande interrogativo: uno stratagemma del genere sarà sufficiente a convincere l’Unione europea? Seppur indirettamente, questo ha tutta l’aria di essere un aiuto pubblico. E in tal senso le norme comunitarie parlano chiaro: un’impresa che va avanti con i fondi pubblici si trova in una posizione di vantaggio rispetto alle altre, violando così i principi della libera concorrenza. Ecco, allora, che sembra più credibile l’altra indiscrezione: il possibile ingresso di nuovi soci privati.

La notizia circola già da qualche settimana, ma nel week end ha trovato importanti conferme da chi ha un posto in prima fila in questa lunga e sempre più complessa trattativa: Domenico Arcuri, amministratore delegato di Invitalia. A margine di un convegno a Taormina, ha parlato di quattro offerte per lo stabilimento di Termini Imerese: Tre sono note e una ignota. Due, in particolare, sono interessanti, ha detto. Ovviamente Arcuri si è guardato bene dal fare nomi. Ma le tre pretendenti dovrebbero essere: Tecnoprogetti, Gam Consultant e Abstract. Strada in discesa, quindi? I sindacati ci vanno molto cauti. A loro avviso sono passati troppi mesi, ragion per cui ritengono più che legittime le preoccupazioni degli operai. Temono di non rientrare più in fabbrica. Tra diretto e indotto sono circa 1.600 le persone in attesa di segnali concreti di rinascita. Lunedì, ancora una volta, a Termini Imerese le tute blu manifesteranno per chiedere l’immediata attuazione dell’accordo di programma. Lo sperano. Ma prevale soprattutto la sfiducia, come conferma il segretario provinciale della Fiom Cgil di Palermo Roberto Mastrosimone: C’é malessere e preoccupazione tra gli operai. Se non viene rispettato l’accordo che abbiamo firmato a dicembre, non si avvia il prepensionamento di 640 operai e non parte il progetto della Dr. Più duro il segretario provinciale della Uilm, Vincenzo Comella: Le istituzioni si assumano le proprie responsabilità. Invitalia ha fallito nel valutare positivamente alcune offerte per il rilancio di Termini.

Come detto, il clima di sfiducia è alimentato anche dalla situazione di Macchia d’Isernia. Gli operai iscritti alla Fiom restano in stato d’agitazione. Per un paio di settimane hanno scioperato. Poi il pagamento di una delle mensilità arretrate ha fatto rientrare in parte la protesta. Ma ci sono ancora degli stipendi da pagare e nello stabilimento si producono auto a singhiozzo. Va pur detto – come hanno precisato lo stesso Arcuri di Invitalia e altri attori della vertenza Termini Imerese – che la situazione economica dell’azienda in Molise è un discorso a parte. Non ha nulla a che vedere con l’operazione da condurre in porto in terra siciliana (attraverso la Dr Industrial). Ma anche in Molise si chiedono risposte. Anche gli operai di Macchia d’Isernia rivendicano garanzie per il futuro. Temono che l’apertura dello stabilimento termitano finirà per compromettere la produzione di auto in Molise (i costi sarebbero più elevati, secondo alcuni).

Dal canto proprio Di Risio ha rassicurato i suoi dipendenti: Macchia d’Isernia resterà il cuore del gruppo. Ma nel piano industriale per Termini Imerese – ha sottolineato a sua volta Giuseppe Tarantino, segretario regionale della Fiom – non si fa alcun accento allo stabilimento molisano. Su questo fronte si è mosso anche il leader dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro. In una lettera indirizzata al ministro per lo Sviluppo economico, Corrado Passera, chiede che venga mostrato il piano industriale. Mentre del suo corregionale Di Risio ha detto: Non ha ancora fornito chiarimenti sulle garanzie finanziarie necessarie a pagare il proprio debito attuale e, soprattutto, non si capisce quale sia la solidità della sua azienda per chiedere un enorme finanziamento pubblico allo Stato e alla Regione Sicilia. Ad oggi, l’unico dato inconfutabile è l’incertezza in cui vivono i lavoratori di Macchia d’Isernia che ricevono in ritardo lo stipendio e hanno un carico di lavoro ridotto ai minimi termini.

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