Irisbus, ultima corsa

La Fiat rinuncia a un altro stabilimento italiano. Dopo Termini Imerese, è la volta della Irisbus-Iveco di Flumeri, in provincia di Avellino. La volontà del Lingotto è di cedere il ramo d’azienda alla Dr, un gruppo molisano fondato da un ex pilota e concessionario di auto: Massimo Di Risio. Dall’oggi al domani circa 700 dipendenti, tra operai e impiegati, si troverebbero così con una nuova proprietà. La Dr è sul mercato dal 2006, quando ha debuttato con alcuni modelli. Auto che vengono assemblate nello stabilimento di Macchia d’Isernia. Ora Massimo Di Risio non vuole solo comporre pezzi che arrivano dalla Cina (dove ha stretto una partnership con la Chery): intende fare il salto di qualità e diventare a tutti gli effetti un produttore. IN MOBILITÀ 95 DIPENDENTI. L’occasione è arrivata a inizio luglio con la firma di un’acquisizione a costo zero. Anzi, Fiat è previsto che versi nelle tasche del gruppo molisano 20 milioni di euro da utilizzare per la mobilità di 95 dipendenti. Un venditore che paga l’acquirente. «Succede solo in Italia», ha detto a Lettera43.it Sergio Scarpa, segretario della Fiom di Avellino «e questo la dice lunga sulle reali intenzioni della Fiat». Secondo Scarpa il Lingotto «non voleva sporcarsi le mani». IL TAVOLO PER LA CESSIONE. Il sindacalista ha spiegato che lo stabilimento di Flumeri è stato venduto a una società costituita ad hoc l’8 luglio. Si tratta della Itala Spa, del gruppo Dr, con capitale sociale di 120 mila euro. «Mi spiega come in caso di fallimento si garantiscono i tfr dei dipendenti, se non facendo ricorso al fondo di garanzia dell’Inps?». Domanda retorica che mercoledì 20 luglio, i rappresentanti sindacali è prevista che rivolgano a Roma ai delegati di Fiat. Al ministero dello Sviluppo economico è stato, infatti, convocato un tavolo per discutere della cessione. Tutte le sigle, con l’eccezione dell’Ugl, non vogliono saperne del piano industriale di Massimo Di Risio (che, tra l’altro, ha annunciato di poter assorbire poco più di 200 persone). Fiom, Uilm e Fim vogliono solo Fiat.

Dal 2006 investiti 27 milioni di euro a Flumeri

Per capire questa vicenda è necessario un passo indietro. Tutto è cominciato il 4 luglio, quando i componenti della Rsu sono stati messi davanti al fatto compiuto dai dirigenti del gruppo Irisbus: la vendita dello stabilimento. Un fulmine a ciel sereno. «Sapevamo che l’azienda voleva chiudere a Barcellona», ha continuato Scarpa «ma non immaginavamo la dismissione in Valle dell’Ufita». LA PRODUZIONE DI AUTOBUS. Il gruppo Irisbus, partecipato al 100% dalla Iveco, produce autobus in tutto il mondo, con stabilimenti in Brasile, India, Repubblica Ceca. E Francia, dove c’è la sede legale a Lione. Flumeri, dunque, è l’unica fabbrica in Italia che produce autobus. Ora però dovrebbe essere riconvertita e realizzare Suv del gruppo Dr, oltre a una commessa della Fiat per bus Gran Turismo. Ma per i sindacati i conti non tornano perché la tempistica e le modalità di cessione sono state spiazzanti. IMMATRICOLAZIONI IN CALO. È opportuno partire da alcuni dati: in cinque anni in Italia le immatricolazioni di autobus per il trasporto pubblico si sono ridotte drasticamente: dai 1.444 mezzi del 2006 si è passati ai 291 del primo semestre 2011. Una contrazione che ha generato riflessi anche sui livelli di produzione della fabbrica di Flumeri: 717 unità nel 2006; solo 145 bus nei primi sei mesi di quest’anno. Numeri che hanno spinto la dirigenza a gettare la spugna. Meglio investire all’estero, con il rafforzamento dello stabilimento di Annonay in Francia, dove il costo del lavoro non è certo inferiore a quello italiano. TRASPORTO PUBBLICO IN CRISI. «È questo che ci ha sorpreso più di qualsiasi altra cosa» ha continuato Scarpa. «Fiat ha investito negli ultimi cinque anni quasi 27 milioni di euro a Flumeri». L’intento era una diversa organizzazione del lavoro per ridurre i costi. Ma la produttività conta poco, quando non si produce e quando, per esempio, non si rinnova il parco autobus. Fattore che avrebbe indotto la Fiat a chiudere i battenti. «Sono convinto di questo», ha proseguito Scarpa, «perché ai piani alti, davanti alla bozza della finanziaria, si sono resi conto che non era previsto nessun rifinanziamento del fondo per il trasporto pubblico». A decidere dovrebbero essere le Regioni, che non possono fare nulla in assenza di trasferimenti dal governo. La conseguenza è che oltre il 60% dei mezzi pubblici in Italia è ancora di categoria Euro 0 o Euro 1.

Irpinia, provincia di disoccupati e cassintegrati

«Quella di Flumeri è l’ennesima vicenda che conferma il fallimento della politica industriale in provincia di Avellino» ha concluso amaro Scarpa. Cinquanta chilometri più in là, vicino al capoluogo, c’è un’altra fabbrica Fiat, la Fma (Fabbrica motori automobili). Qui si lavora solo sette giorni al mese per produrre i motori 1600 del gruppo torinese (Alfa Romeo e Lancia comprese). Da anni c’è la cassa integrazione e lo stesso Scarpa non ha nascosto il timore che la prossima a cadere potrebbe essere proprio questa fabbrica. E dirte che Irisbus e Fma per anni hanno rappresentato l’unica speranza dei lavoratori dell’area, perché l’indotto si regge per gran parte sulle commesse dei due stabilimenti. IL DOPO TERREMOTO. L’area tra la Campania e la Puglia ha avuto un’industrializzazione forzata con il dopo terremoto del 1980. Miliardi e miliardi di lire che hanno inondato l’Irpinia. Qui la Fiat ha utilizzato il denaro dei contribuenti per creare i due insediamenti. Si è iniziato proprio in Valle dell’Ufita negli Anni ’70, quando ministro dell’Industria era Ciriaco De Mita, all’inizio di una folgorante ascesa politica. DALLE CAMPAGNE ALLA CITTÀ. Centinaia di lavoratori partirono dalle campagne per fuggire dalla povertà delle aree rurali. Furono numerose le proteste sui criteri di selezione, storicamente legati alle logiche clientelari. Ma era importante lavorare. E poi votare. Dopo il terremoto sono arrivati i fondi della 219/1981 e la legge 80 del 1984. Intanto De Mita è diventato segretario nazionale della Dc. Sono piovuti altri miliardi per sostenere il progetto dell”industria in montagna, tanto caro ai maggiorenti del posto. Sono passati 30 anni e la Fiat non è più la stessa. Come non è più la stessa nemmeno l’Irpinia, provincia di disoccupati e cassintegrati.

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