Il “maestro” Pino Concialdi ci lascia un’eredità culturale di immenso spessore

Operatore culturale, gallerista, ha fatto della pittura un lavoro di riflessione. Di schietta matrice figurativa, la sua opera si è caratterizza per una veemenza vagamente espressionista.
Oltre l’apparente figurazione, come Rothko, Newman, Reinhardt, per citare qualche nome, Concialdi concepì una pittura fondata su una sola idea, da ripetere con variazioni minime di quadro in quadro.
Col pretesto dell’autoritratto Pino Concialdi operò con i colori le alchimie che, qualora fosse necessaria dargli una filiazione, lo si potrebbe collocare tra gli espressionisti astratti.
Ha lasciato un grande vuoto nei cuori ma altresì un patrimonio culturale di immenso spessore che con la sua semplicità, la sua mitezza e la sua assoluta umiltà è passato quasi inosservato ai più.
Una sensibilità culturale e artistica che difficilmente si può maturare, in lui era innata e spontaneamente viva. Grazie alle sue opere e al coinvolgimento che esse trasmettono, Pino Concialdi si è reso immortale perchè la sua opera è viva e lo rimarrà sempre.
Grazie “maestro” Concialdi, a nome della tua Termini e di chi ha avuto l’onore di starti accanto anche per pochi istanti.
La funzione religiosa di saluto del maestro Concialdi sarà celebrata oggi 18 novembre 2015 alle ore 15 presso la chiesa madre di Termini Imerese.

Ecco come lo racconta Croce Taravella in suo scritto:
PINO CONCIALDI
È bestiale trovarsi in una fu Galleria di Termini Imerese e scovare un «arti/teca» tutta marca Concialdi nei suoi ripostigli. La marca o timbro «Concialdi» non è una garanzia e neanche un’assicurazione, non presta fede se non viene divulgata o proposta, anzitutto, ai pochi operatori cittadini. Il labirinto come spazio operante propone parte del ripostiglio di Pino Concialdi.
Concialdi non ha mai conosciuto la «carne» di prima scelta nè cittadina né internazionale, non conosce i dati tecnici, sociali, culturali, ecc. ecc. dei giorni nostri, quello che gli manca è il «marpionaggio ricorrente», non riesce a sgamare, sgamare, sgamare.
Ma a lui non serve tutto questo, il suo riposo, diletto, sono i maestri da Van Cogh a Picasso, lui legge De Micheli, non può leggere il cosi detto A.B.O.; è un grande nostalgico positivo.
Vi sono presenti diversi autoritratti, che nell’impostazione formale si amalgamano, come se Concialdi non riuscisse a formulare altro, lui non spazia nella differenza dei soggetti e nei moduli compositivi, a lui interessa la centralità dell’opera. «Tutto è centrifugo»: da li si snodano le arterie dal passo scorretto, che partono dal polmone fino alle unghia, vi è una trama percossa, vitale, contorta, disgiunta, sarvaggia, brut, brut, liscia.
Concialdi gioca con i grandi maestri, con il suo fare ingenuo è interessato: li annusa, li rispetta, vuole entrare nel loro vortice voluttuoso, tragicomic, cerca con delle iperboli mentali di coniugarsi a loro: la storia è indietro.
Nelle sue teste lunatiche c’è un concerto «timfonico-strum»: spreme con disinvoltura e carattere il limone dentro l’uovo.
L’impasto riesce, la testa prende forma, nascono le labbra, gli occhi, le orecchie, il mento, assieme ad essi le distorsioni mandibolari, parietali, occipitali, torcicolli: che camminano assieme in un fluido costante, sangue arterioso che diventa venoso, il mostro si rilassa, si asciuga, si comprime, si assesta con l’olio, il cartone, il carbone, si forma in una materia cartilaginosa, trasparente in profondità, si concretizza con ter¬mini volgus, astrusi; inizia la metamorfosi è = Concialdi.
CROCE TARAVELLA ++

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