Potrebbe essere nel torio la risposta ai problemi di energia del futuro. La tecnologia legata a questo particolare minerale potrebbe infatti rappresentare il giusto compromesso di sicurezza e di rispetto delle problematiche ambientali che riuscirebbe a convincere anche il più acerrimo ambientalista. Usare torio al posto dell’uranio arricchito per far funzionare centrali nucleari è infatti una tecnologia già ampiamente utilizzata, conosciuta, studiata e anche collaudata che presenta una serie di vantaggi economici e anche ambientali. Ma anche di svantaggi. Nel mondo esistono abbondanti riserve di torio e il costo del combustibile sarebbe davvero molto basso. Inoltre le riserve di questo materiale sono presenti un po’ ovunque e questo metterebbe al riparo da eventuali strozzature di mercato. I reattori alimentati a torio poi produrrebbero una serie di scorie che non solo potrebbero essere riutilizzate per alimentare altri reattori, ma sarebbero anche molto meno pericolose di quelle prodotte da reattori ad uranio dell’ordine di diverse potenze in meno. Eppure nonostante tutti questi apparenti vantaggi solo pochi paesi hanno sviluppato questa speciale filiera nucleare: l’I ndia, ora la Cina e, in un certo senso anche il Canada. Il motivo per il quale questo tipo di tecnologia non è stato sviluppato – spiega Ezio Puppin, presidente del Consorzio Interuniversitario scienze fisiche della materia (Cnism) – sono essenzialmente legati alla storia del nucleare, che ai primordi è stato sviluppato per produrre plutonio e altro materiale utile alla fabbricazione di testate nucleari. Ma ci sono anche altri motivi, anche se non si tratta di problemi insormontabili. Si tratta di problemi essenzialmente legati ai costi di gestione più elevati del ciclo del combustibile nucleare. Se infatti per alimentare un reattore tradizionale – spiega Giuseppe Forasassi, presidente del Consorzio interuniversitario di ingegneria nucleare (Cirten) e docente all’università di Pisa – basta semplicemente raffinare un po’ il minerale estratto dalla miniera, per il torio occorre associare un impianto chimico al reattore per permettere di avere combustibile che sia in grado di sostenere la reazione di fissione. Il problema infatti è che il torio, non è un elemento fissile. Non è radioattivo e cioè non libera dal suo nucleo neutroni che poi vanno a spaccare nuclei di altri atomi. Detta in maniera più semplice il torio da solo non brucia, e nemmeno si accende. Per la verità neanche l’uranio naturale, l’ uranio 238 si accende, ma nei reattori tradizionali si usano miscele di uranio parzialmente arricchito e cioè che contiene al suo interno un isotopo radioattivo dell’uranio naturale, l’ uranio 235, che invece è radioattivo e permette di sostenere la reazione a catena. Il problema dell’utilizzo delle centrali a torio nasce proprio da questa considerazione.
Che non è del tutto marginale. Non basta infatti mettere una fiammella sotto una barra di torio per liberare l’energia contenuta all’interno dei suoi atomi. Almeno non una fiammella tradizionale. Ne serve una atomica. Serve cioè bombardare con dei neutroni. Ci sono due metodi per fare questo. Il primo è miscelare il torio con elementi radioattivi, per esempio uranio arricchito o plutonio. Il secondo sistema, e questo è il frutto dell’intuizione di Carlo Rubbia quando era alla guida dell’Enea, consiste nel bombardare il torio con un fascio di neutroni prodotti in un acceleratore di particelle. Ottenendo così la cosiddetta trasmutazione per spallazione. I neutroni colpiscono gli atomi di torio e li trasformano, meglio trasmutano, in un altro elemento, l’ uranio 2333, un isotopo non esistente in natura e fortemente radioattivo. Al punto da riuscire a bruciare in maniera più efficiente anche dell’uranio 235 e del plutonio. Ora questa trasmutaz! ione si attiene anche utilizzando come innesco del torio, uranio arricchito. Ed è proprio quello che avviene negli attuali reattori alimentati a torio. Il ciclo torio-uranio233 – spiega Emilio Santoro, direttore del reattore Triga dell’Enea – è talmente efficiente che introducendo in reattore 100 kg di si ottengono 120 kg di materiale fissile. In pratica di benzina. I reattori al torio sono estremamente efficienti – spiega Santoro – come del resto quelli cosiddetti superveloci alimentati a plutonio che sono in pratica la quarta generazione di reattori in fase di sviluppo e che credo possano essere il vero nucleare del futuro. Impianti al torio erano stati sviluppati anche in Occidente. Proprio ai primordi dell’epopea nucleare, nel 1957 e sotto gli auspici del presidente Usa Eisenhower venne infatti inaugurata la centrale di Shippingport, un piccolo impianto di appena 60 Megawatt di potenza totalmente alimentata a torio. L’idea era quella di collaudare reattori di taglia utile a far girare le eliche delle grandi portaerei americane. Da allora però la storia cambiò rotto e solo pochi altri impianti, come quello di Elk River (le cui barre di combustibile vennero spedite in Italia e ora sono al centro Enea di Trisaia) sono stati realizzati. Solo in India si è puntato molto su questa tecnologia e sono stati effettuati dei reattori alimentati a torio. Negli ultimi anni pero’ questa particolare tecnologia è tornata di moda, soprattutto in Cina che sta puntando moltissimo sul nucleare sia di terza che di quarta generazione. Anche negli Stati Uniti si torna a parlare dei reattori a torio. Principale sostenitore di questa tecnologia è Alvin Weimberg, direttore dei laboratori di Oak Ridge e fondatore della National Science Foundation, che già nel 1958 pubblica un libro di 978 pagine in cui espone la possibilità di creare reattori al torio con combustibile liquido. Un progetto che ora è stato rispolverato anche in America).
E, per un breve periodo venne studiato anche in Italia. Nel nostro paese, infatti nella prima metà degli anni 2000, all’Enea si cominciò a sviluppare l’idea proposta da Carlo Rubbia, il cosiddetto Rubbiatron. In pratica si tratta di un reattore al torio che viene acceso non da plutonio, ma da un fascio di neutroni sparati con un acceleratore di particelle. I neutroni colpiscono la barra di torio e innescano la reazione. Con il vantaggio che il fascio di neutroni può essere interrotto in ogni momento proprio come se si trattasse di un vero e proprio interruttore. Proprio nell’impianto Triga, alla Casaccia, un piccolo reattore sperimentale, – racconta Santoro – venne iniziata la fase di verifica del progetto che però si arresto’ davanti alla mancanza dei fondi necessari per la realizzazione dell’acceleratore.