I Cinesi frenano su Termini Imerese: chiarite in tre mesi o andiamo via

Fonte Corriere.it
di Fabrizio Massaro

I cinesi congelano il dossier Termini Imerese. Se c’era la possibilità di un avvicinamento del produttore di auto elettriche Jiayuan all’impianto ex Fiat in Sicilia, adesso si è fermato di colpo tutto. Il passo indietro dei cinesi è legato all’inchiesta della procura della cittadina del Palermitano, e all’eco che è arrivata fino in Cina, per presunta malversazione di 16,5 milioni di fondi pubblici di Blutec — la società che nel 2015 ha rilevato lo stabilimento ex Fiat in Sicilia — e degli arresti domiciliari del patron Roberto Ginatta e dell’amministratore delegato della società, Cosimo Di Cursi (costituitosi giovedì a Torino di ritorno dal Brasile). La reazione cinese è stata immediata: secondo quanto risulta a Corriere.it venerdì mattina i rappresentanti della Jiayuan hanno comunicato a Blutec l’intenzione di sospendere il programma di visite a Termini Imerese a Torino, che dovevano precedere la firma di un memorandum d’intesa circa il passaggio della fabbrica ai cinesi.

La bozza del memorandum
La firma del documento – pubblicato in esclusiva su Corriere.it – sarebbe potuta avvenire già in occasione della visita di Stato del presidente cinese Xi Jinping in Italia il prossimo 21 e 22 marzo, nel corso dei summit economici previsti. Proprio in Sicilia, a Palermo, il presidente Xi ha scelto di trascorrere la giornata di sabato 23, in visita privata, come ultima tappa del viaggio in Italia.

«Ancora tre mesi, poi andiamo via»
L’interesse di Jiayuan non sarebbe comunque scemato: al contrario, i consulenti dell’azienda cinese hanno confermato ai manager di Blutec il forte interesse per l’impianto siciliano ma restano in attesa degli eventi. Tuttavia, non all’infinito. Ai rappresentanti di Blutec avrebbero dato tre mesi di tempo perché la situazione si chiarisca; dopo si considereranno liberi di cercare altrove uno sbocco in Italia o in Europa.

Il piano: 50 mila auto, 50 milioni di investimento. Il porto a due passi
La bozza del documento (memorandum of understanding, o MoU) in procinto di essere siglato da Ginatta, dopo aver avuto l’ok del ministero dello Sviluppo economico, prevede di negoziare il passaggio dell’uso della fabbrica ai cinesi: il piano stima una produzione di 50 mila auto elettriche in tre anni destinate al mercato europeo e un investimento da 50 milioni di euro congiunto di Blutec e Jiayuan o di altri investitori che sarebbero stati coinvolti nel rilancio dello stabilimento e nel riassorbimento di oltre 700 ex dipendenti Fiat, da otto anni in cassa integrazione. Senza considerare che lo stabilimento è direttamente collegato al porto commerciale di Termini Imerese, che dista pochi chilometri e potrebbe essere utilizzato come piattaforma logistica.

Tutto il mano all’amministratore giudiziario
Quello cinese è ora uno dei tanti dossier finiti in mano all’amministratore giudiziario nominato dal gip di Termini Imerese, il commercialista palermitano Giuseppe Glorioso. L’arrivo di Jiayuan, se si concretizzasse, potrebbe risolvere i problemi di Ginatta in Sicilia, dato che l’accusa è di avere distratto i fondi e non avere portato avanti il programma concordato con Invitalia, che per questo motivo già a inizio 2018 ha chiesto la revoca dei 21 milioni della prima tranche del prestito pubblico concesso.

La versione degli indagati al gip
È proprio dai ritardi nel «programma di sviluppo» su Termini che è partita l’inchiesta condotta dal nucleo economico-finanziario della Guardia di Finanza di Palermo guidata dal colonnello Cosmo Virgilio. Nel suo interrogatorio di garanzia davanti al gip sabato, Di Cursi ha dato però una ricostruzione diversa dei fatti: Metec era stata chiamata in tutta fretta a intervenire su Termini Imerese a fine 2014 per evitare che scattassero i licenziamenti collettivi dei dipendenti, che erano ancora di Fca, facendo suo un piano industriale già esistente che però non è stato possibile rispettare, nonostante Ginatta abbia speso 19,5 milioni di capitali propri in stipendi. Da qui le differenze nelle spese rispetto al programma concordato con Invitalia. Senza considerare – ha aggiunto Di Cursi, secondo quanto riferito dai legali – che i soldi pubblici non sono a fondo perduto ma un prestito agevolato, in ogni caso da restituire.

La transazione: manca la firma di Di Maio
Per il mancato rispetto del programma, a inizio 2018 Invitalia aveva disposto la revoca del prestito. A giugno però Ginatta era riuscito a concordare una bozza di transazione che prevedeva la restituzione delle somme con il pagamento degli interessi (non più agevolati) nell’ambito di un nuovo piano, anch’esso sostenuto da un nuovo finanziamento di Invitalia. La transazione non è mai diventata esecutiva perché dal ministero dello Sviluppo Economico non è mai arrivato il via libera, nonostante le sollecitazioni scritte al ministro Luigi Di Maio da parte dell’amministratore di Invitalia, Ignazio Arcuri. Anche questo dossier è ora sul tavolo dell’amministratore giudiziario Glorioso, che opera sotto il controllo del gip per salvaguardare gli interessi aziendali di Blutec.

Tutti gli altri guai di Ginatta
Ma lo stop all’accordo con Jiayuan non è l’unica conseguenza economica che i legali di Ginatta – lo studio torinese Grande Stevens – cercheranno di disinnescare con la richiesta di dissequestro dei 16 milioni di euro e delle quote societarie di Blutec, oltre a quella di scarcerazione dei due manager, che verrà presentata lunedì al tribunale del Riesame di Palermo. La partita è delicata: l’intero gruppo Blutec, al 100% della Metec spa di Ginatta, occupa 1.200 dipendenti ed è al centro di un importante processo di ristrutturazione industriale e finanziaria. Si vuole fare in fretta per evitare uno stallo che si trasformi in un avvitamento finanziario del gruppo, sebbene la famiglia Ginatta abbia importanti capacità economiche.

La cessione dell’impianto di Atessa
Ginatta e Di Cursi stavano portando avanti in queste settimane la vendita a Ma Engeneering del ramo d’azienda «metallic» della controllata di Blutec, Ingegneria Italia srl ad Atessa (Chieti), sempre nella componentistica automotive. Il prezzo, in contanti, è già stato fissato in 28 milioni di euro. Ma sempre venerdì i consulenti dell’acquirente hanno comunicato di sospendere la due diligence in attesa di capire come evolverà la situazione. Un altro dossier che rallenta, altri soldi che per ora non entrano in Blutec. Che invece ne avrebbe davvero bisogno per soddisfare il Fisco.

La transazione con il Fisco
Blutec deve all’Agenzia per la Riscossione circa 19 milioni di euro tra imposte e contributi arretrati e non versati e una soluzione che stava portando avanti in questi giorni era quella della rottamazione e della rateizzazione delle cartelle residue. Se non saranno pagate le prime rate, l’Agenzia è pronta ad aggredire i crediti di Blutec presso terzi. Un’altra grana non da poco.

In otto anni circa 100 milioni di euro per la Cassa integrazione
A Termini lo sconforto tra gli operai è enorme, la paura, tanta. Giovedì 21 con i sindacati Fim, Fiom e Uilm manifesteranno per le vie della città. Per il momento l’unico polmone finanziario è stato l’ennesima proroga della Cassa integrazione, concessa a dicembre dalla Manovra 2019 del governo Conte. Soldi pubblici per tenere a freno un problema di deindustrializzazione che si trascina da troppo tempo. E che – dati del Sole 24 ore – in otto anni è costata allo Stato circa 100 milioni di euro di ammortizzatori sociali.

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