Gli americani vorrebbero investire a Termini Imerese ma…

«Le buone intenzioni – ci ricorda Oscar Wilde – sono state la rovina del mondo. I soli che hanno compiuto qualche cosa nel mondo sono stati coloro che non avevano nessuna intenzione». Questa frase cala a pennello a Termini Imerese dove tutti, in questi giorni, dopo la chiusura della Fiat, sembrano armati di buone intenzioni. Tanti, forse in troppi, osservava ieri il sindaco di questa città, Salvatore Burrafato, in un’intervista a Link Sicilia, ruotano attorno alla reindustrializzazione di questo luogo. Poi, però, quando si presentano due gruppi imprenditoriali americani disposti ad investire, ecco che si scopre che non ci sono aree industriali disponibili. Possibile? La storia che vogliamo raccontarvi è particolare. Molto particolare. E si intreccia a doppio filo con quello che è avvenuto nelle scorse settimane, con quello che sta avvenendo e con quello che avverrà nei prossimi mesi a Termini Imerese. Riassumiamo. Dopo oltre quarant’anni – e dopo aver inghiottito una caterva di contributi pubblici e di agevolazioni di tutti i generi e di tutte le specie (dallo Stato e dalla Regione siciliana) – la Fiat annuncia la chiusura dello stabilimento di Termini Imerese. Lo fa con circa due anni di anticipo. E mantiene gli impegni. Infatti, qualche settimana fa, agneddu e sucu e finiu ‘u vattiu, ovvero chiusura dello stabilimento. Morale: duemila e 200 famiglie in mezzo alla strada. Nel frattempo Stato, Regione e vari gruppi imprenditoriali hanno dato vita a una lunga trattativa per trovare il modo di rilanciare la produzione di automobili a Termini Imerese. Sul piatto ci sono un sacco di soldi: 150 milioni di euro circa della Regione e altri 250 milioni di euro a carico dello Stato. Totale: circa 400 milioni di euro. La scelta cade su un gruppo molisano: Dr Motor. Proprio nei giorni in cui a Roma sta per maturare questa scelta, Il Sole 24 Ore – cioè il quotidiano della Confindustria – pubblica una serie di servizi dove si fanno le classiche pulci a Dr Motor. Il gruppo non sarebbe affatto quel gioiellino che viene frettolosamente dipinto tra Roma e Palermo, ma al contrario, un’azienda con tanti problemi. Nell’opinione pubblica – e soprattutto tra gli addetti ai lavori – cominciano a prendere piede le perplessità. Insomma: di mezzo ci sono tanti soldi. E non sembra facile capire se l’interesse di tanti soggetti (quelli di cui parla il sindaco Burrafato, per intendersi) sia legato alla voglia di rilanciare sviluppo economico e occupazione a Termini Imerese o sia, invece, il solito modo per far sparire 400 milioni di euro per non avere, alla fine, né sviluppo, né occupazione. Mentre a Termini Imerese politici, burocrati e imprenditori siciliani e molisani si interrogano sulla cosmogonia di Anassimene e di Anassimandro da applicare ai 400 milioni di euro, alla porta bussano prima un gruppo imprenditoriale americano e poi un secondo gruppo, sempre statunitense. Che vogliono questi?, si chiedono i filosofi impegnati a riflettere sul futuro di Imera. Sono qui per prendere (sempre dai 400 milioni di euro) o per dare? Stando a quello che a noi risulta, il primo gruppo americano (come potere leggere sempre su Link Sicilia, dove, cercando, troverete ben due articoli pubblicati la scorsa settimana su questo argomento) vorrebbe investire 100 milioni di euro per un totale di 700 nuovi posti di lavoro. Missione (noi ci rifiutiamo di scrivere mission): produrre batterie particolari. Si tratterebbe di batterie dove accumulare l’energia prodotta dal vento e dal sole. Per la Sicilia andrebbe bene, se è vero che abbiamo consentto la realizzazione, nelle nostre contrade, di un sacco di pale eoliche. E se è vero che, negli ultimi tre anni, la Sicilia ha investito molto nell’energia fotovoltaica. Poi ci sarebbe un secondo gruppo che vorrebbe investire nel trattamento dei rifiuti. Quanto? Forse altri 100 milioni di euro. Per noi siciliani – e soprattutto per i palermitani – andrebbe pure bene. Anche in questo settore siamo indietro. In pratica, andiamo avanti con le discariche. E quella di Palermo – Bellolampo beach – è quasi satura. Ma anche per questo secondo gruppo imprenditoriale americano – come del resto per il primo – a Termini Imerese non ci sarebbe posto. Possibile? Il sindaco di Termini Imerese dice che chiunque arriva in Sicilia per investire si confonde e si scoraggia. Si confonde perché viene sbattuto da un ufficio pubblico all’altro per permessi & autorizzazioni. Si scoraggia perché, a furia di girare da un ufficio pubblico all’altro, si convince – e non ha torto – di essere entrato dentro una sorta di ‘Castello di Kafka’ dove, per definizione, non ci sono né risposte, né certezze. Possibile? E siamo tornati alla massima di Wilde: «Le buone intenzioni sono state la rovina del mondo…». Perché? Perché appena qualche mese fa l’Assemblea regionale siciliana – naturalente ‘armata’ di buone intenzioni – ha approvato in pompa magna una legge che avrebbe dovuto snellire l’attività amministrativa. Così, almeno, è stato presentato – e soprattutto pubblicizzato – questo provvedimento legislativo. La mano pubblica ha persino acquistato spazi qua e là, magnifcando le virtù taumaturgiche di una legge che avrebbe dovuto risolvere annosi problemi storici. Ora arriva il sindaco di Termini Imerese e ci dice che questa legge è solo un esercizio (di stile?). Cioè una presa in giro. La prova provata è data dagli americani che – a parte le aree che, almeno fino ad oggi, non hanno ancora trovato – sono stati letteralmente travolti e scoraggiati dalla burocrazia. Li hanno scoraggiati perché avevano cattive intenzioni? O perché, non avendo nessuna intenzione, come dice sempre Oscar Wilde, avrebbero potuto ‘commettere’ qualcosa di utile? Vacc a capire qualcosa.

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