Fiat, futuro incerto tra l’offerta di Hyundai e la svolta elettrica

In via Veneto, tra i tanti dossier sul tavolo del ministro Luigi Di Maio, c’è anche una nota per un piano di incentivi per le automobili elettriche. Si vorrebbero introdurre nel nostro parco macchine un milione di vetture alternative entro il 2022. Progetto ambizioso in un Paese, l’Italia, dove girano appena 5 mila auto alimentate in questo modo.
SOLDI ANCHE PER LE CENTRALINE. C’è chi parla di uno stanziamento complessivo di circa 10 miliardi, da avviare già in una prima tranche con la manovra d’autunno 2018. Soldi che, visti i buoni rapporti tra cinque stelle ed Enel, sarebbero destinati anche all’installazione di centraline di ricarica. Ma al momento di concreto – anche perché simulazioni sui costi e sui benefici non sono ancora iniziati – ci sarebbe soltanto quanto scritto nel contratto di governo. Cioè che «è prioritario utilizzare strumenti finanziari per favorire l’acquisto di un nuovo veicolo ibrido ed elettrico a fronte della rottamazione».
SCETTICISMO SUI PIANI DI DI MAIO. A Torino i piani di Di Maio – che pure è sensibile al tema visto che viene da Pomigliano d’Arco, dove c’è un importante stabilimento del gruppo – sono letti con un certo scetticismo. Ci sarebbero stati già i primi contatti ufficiosi tra FiatChrysler e il mondo pentastellato. E che andrebbero ben oltre la visita fatta dal neoministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Danilo Toninelli, con il sindaco Chiara Appendino negli stand dell’azienda all’ultimo salone di Torino.
In Fiat Chrysler sono sempre più tesi i rapporti tra Marchionne ed Elkann
C’è scetticismo vuoi perché FiatChrysler è abbastanza indietro con l’elettrificazione della sua gamma, nonostante all’ultimo investor day di Balocco Sergio Marchionne abbia annunciato un cambio di filosofia. Vuoi perché al Lingotto hanno altri problemi da risolvere prima: il timore di scontare la crisi in Sud America più del dovuto (mettendo anche a rischio il pareggio di bilancio, l’ultimo successo del manager dal pullover nero) e i rapporti sempre più tesi tra l’attuale amministratore delegato e i suoi azionisti. Cioè John Elkann.
MINIMIZZATI GLI EFFETTI DEI DAZI USA. Per esempio lo stesso giorno nel quale Marchionne ha minimizzato gli effetti dei dazi del 25% di Donald Trump sull’auto, negli Usa l’Automakers Alliance avvertiva che questa politica potrebbe avere un impatto molto imporante sui livelli occupazionali degli stabilimenti Usa. Senza contare gli sforzi dei costruttori tedeschi (Volkswagen e Daimler in testa) per trovare un’intesa con i loro concorrenti americani con lo scopo di evitare i balzelli. Cioè tutti submovimenti che – agli occhi degli Agnelli – farebbero apparire Fca alquanto isolata.
Nelle ultime ore Peter K. Semler, giornalista americano figlio di un ex ambasciatore Usa a Roma, ha rilanciato la notizia che aveva già dato un anno prima: la coreana Hyundai è pronta a mettere le mani su Fiat. Ma rispetto al passato si è soffermato su un aspetto: dietro questa operazione ci sarebbe il fondo Elliott, che ha già investito un miliardo di dollari nel colosso coreano dell’auto e che ha piazzato nel consiglio di amministrazione di Telecom Alfredo Altavilla. Cioè il manager Fiat che gli Elkann vorrebbero come sostituto di Marchionne.
«FIAT CHRYSLER VERSO LA TEMPESTA PERFETTA». Semler, riportando una fonte interna anonima, ha anche aggiunto che il nipote dell’avvocato vuole vendere perché «è ben consapevole che Fiat Chrysler sta andando nella tempesta perfetta», tra la «mancanza di nuovi modelli», la tecnologia obsoleta rispetto ai concorrenti e «nessuna strategia reale sui veicoli elettrici».
PIANO STRATEGICO DIFFICILE DA REALIZZARE. Al di là della severità del giudizio, da più parti si registrano dubbi sull’eredità di Marchionne. Che lascia a fine 2018 un’azienda priva di debiti, ma con un piano strategico di difficile realizzazione: cioè una totale riconversione verso l’alta gamma (che finora ha avuto successo soltanto per i modelli Ram e Jeep) con dei modelli che non saranno pronti prima di 18 mesi.
Si rilanciano i timori che Marchionne possa non raggiungere i target per il 2018
In questo clima si rilanciano i timori che Marchionne possa non raggiungere i target per il 2018, soprattutto l’azzeramento del debito e quasi 5 milioni di vetture, anche grazie alla vendita di due milioni di Jeep, 770 mila pick up di Ram e 177 mila Alfa Romeo. Due mercati fondamentali a livello globale come Brasile e Argentina scontano le crisi politiche di questi Paesi. Nel Nord America tirano solo Suv e pick up. I dati in Europa, poi, sono altalenanti: a marzo le vendite sono calate del’8%, ad aprile sono salite del 9,8 e a maggio hanno riperso un altro 8%.
UN’OFFERTA COREANA CONSIDERATA BASSA. Saputa la notizia dell’offerta coreana il titolo del costruttore italiano è balzato dal 4%, smentita la notizia ha perso più di quanto guadagnato. Nei mesi scorsi arrivò da Seul un’offerta – tra i 22 e 25 miliardi – che, complice i paletti del suo Ceo, Elkann rispedì al mittente perché considerata bassa.
L’OPERAZIONE PERÒ RESTA ANCORA FATTIBILE. Da Torino fanno notare che non ci sono passi avanti su quest’offerta e che non ci saranno finché Marchionne resterà al suo posto. Ma l’operazione resta fattibile: Hyundai ha bisogno di aumentare la produzione in America e in Europa, Elliott potrebbe fare facili plusvalenze visto che a detta di Goldman Sachs il titolo del Lingotto è penalizzato rispetto alle medie del settore.
Di tutto questo si discuterà, come detto, soltanto quando Marchionne avrà lasciato i suoi uffici a Torino e a Detroit. E molto probabilmente non prima di quella data si saprà il futuro degli stabilimenti italiani: in teoria nel nuovo piano presentato a Balocco ci sono sei nuovi modelli di alta gamma che dovrebbero andare in Italia.
ELETTRIFICAZIONE PER POCHI MODELLI. Per non parlare della loro elettrificazione, che a quanto si sa – al momento – dovrebbe riguardare in concreto soltanto 500X e Ducato nello stabilimento Blutec di Termini Imerese, dove un tempo si assemblava la Lancia Y, anche se a Balocco si è parlato di quattro Jeep elettriche da qui a cinque anni.
Marco Bentivoglio, numero uno della FIM CISL, preme per un incontro chiarificatore con i vertici del Lingotto, anche «perché bisogna mettere in relazione nuovi investimenti con la fine o il rinnovo dei processi di ammonizzazione sociale». Susanna Camusso, leader della Cgil, ha chiesto addirittura l’intervento della Cassa depositi e prestiti in Magneti Marelli.
PAREGGIO DI BILANCIO PROMESSO. In Corso d’Italia sono convinti che lo spin off della componentistica – indispensabile per Marchionne per raggiungere il pareggio del bilancio promesso agli azionisti e al mercato – venga rinviato perché gli Elkann siano più interessati a vendere che a fare un’operazione finanziaria. E tanto basta per capire che sono lontani i tempi nei quali Raffaele Bonanni, ex numero della Cisl, spingeva Marchionne a produrre in casa Jeep, Maserati e 500X per gli Stati Uniti pur di salvare i posti di lavoro in Italia.

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