Appena si sente il termine “radioattivo”, il nostro pensiero va a ad una centrale nucleare, a Chernobyl.
Molti pensano: “Ma in italia non abbiamo centrali nucleari, quindi di che stiamo parlando?”. Si crea un caos incredibile se non si è bene informati.
Facciamo chiarezza.
I rifiuti radioattivi di cui si parla in questi giorni non sono solo quelli delle centrali a fissione nucleare, ma anche rifiuti ospedialieri, dei laboratori di ricerca.
Esempio: la diagnostica e la terapia medica (per es. la radioimmunologia, la radioterapia), la ricerca scientifica, l’industria agroalimentare (per es. la sterilizzazione delle derrate per irraggiamento), i controlli di produzione industriale (per es. le radiografie di saldature) producono rifiuti radioattivi.
Quindi noi, come tutti i paesi, generiamo rifiuti radioattivi.
In Italia i rifiuti radioattivi sono classificati in tre categorie, secondo il grado di pericolosità:
– Categoria I: rifiuti radioattivi la cui radioattività decade fino al livello del fondo naturale in tempi dell’ordine di mesi o al massimo di qualche anno. A questa categoria appartengono una parte dei rifiuti da impieghi medici o di ricerca scientifica;
– Categoria II : rifiuti radioattivi a bassa/media attività o a vita breve, che perdono quasi completamente la loro radioattività in un tempo dell’ordine di qualche secolo; a questa categoria appartengono i materiali delle centrali nucleari dismesse, impianti di fabbricazione del combustibile, centri di ricerca. Un significativo contributo proviene dalla disattivazione delle installazioni nucleari non più in funzione (ricordiamoci che fino al 1987 le centrali nucleari c’erano in italia – le abbiamo dismesse ma gli scarti ci sono ancora).
– Categoria III : rifiuti radioattivi ad alta attività o a vita lunga, per il decadimento dei quali sono necessari periodi molto più lunghi, da migliaia a centinaia di migliaia di anni. Esempi: combustibile nucleare irraggiato “tal quale” e le scorie primarie del riprocessamento.