Dall’addio della Fiat all’illusione BluTec, otto anni di salvataggi mancati: dal declino agli arresti

08/01/2014 Roma, conferenza stampa per la firma nuovo contratto di Sviluppo Invitalia-Vodafone, nella foto Domenico Arcuri, amministratore delegato di Invitalia

Dal Corriere.it
di Fabrizio Massaro

Negli anni Ottanta oltre 3 mila addetti
Quarant’anni di vita produttiva, otto anni di limbo e di illusioni per gli operai e il territorio siciliano. Così si può riassumere la parabola dello stabilimento ex Fiat di Termini Imerese, in provincia di Palermo. Parabola culminata con l’arresto dei vertici del gruppo BluTec, per aver fatto sparire 21 milioni di aiuti pubblici destinati alla produzione di auto ibride. Costruita nel 1970 a pochi metri dal mare, con accanto l’autostrada e la ferrovia per agevolare la logistica della «zona industriale», la Sicilfiat negli anni Ottanta aveva raggiunto i 3.200 addetti, oltre il doppio rispetto ai 1.500 del primo giorno. Poi il declino. Nei piani di Sergio Marchionne l’impianto era troppo piccolo e poco produttivo, oltre che scomodo. E andava per questo chiuso.
La chiusura Fiat nel 2011
La Fiat sospese la produzione nel novembre 2011. Per salvare i posti di lavoro il ministero dello Sviluppo e Invitalia avevano già aperto le porte a tanti soggetti che si erano fatti avanti per rilevare lo stabilimento, che allora occupava 2.500 persone. Tutti finiti miseramente tra avventurismi, scandali, capitali che non arrivavano mai. Ma i progetti, che nel frattempo partivano, consentivano di allungare la cassa integrazione per i dipendenti, ora ridotti a poco più di 700.
Tra illusioni e inchieste giudiziarie
Al bando di Invitalia – che prometteva circa 250 milioni di investimenti pubblici più altre decine da parte della Regione Sicilia – si candidarono fra gli altri il finanziere Simone Cimino, con il progetto delle auto elettriche «sunny car» da vendere per le isole turistiche, e il gruppo di Corrado Ciccolella per trasformare in serre per fiori la linea di montaggio. Tutti salti nel vuoto, bloccati anche da inchieste giudiziarie. Anche Gian Mario Rossignolo propose di realizzare dei mini Suv con il marchio De Tomaso, che aveva rilevato dalla Fiat. Un altro buco nell’acqua. A fine 2011 si impose invece la Dr Motor di Massimo Di Risio, il produttore molisano di auto che però a giugno 2012 si arrese per mancanza di capitali.
I soldi (mai arrivati) dal Brasile
Nel frattempo la casa integrazione andava avanti, con la Fiat formalmente ancora responsabile dello stabilimento. Nel 2014 si candidò una nuova società, Grifa, condotta da alcuni ex manager Fiat. Com quali capitali? Soldi dal Brasile, di un fondo, Kbo Capital, che gestiva il patrimonio del Banco di Rio de Janeiro (Brj), istituto in mano alla famiglia De Queiroz. Dopo pochi mesi di trattative e carte firmate con il Mise anche Grifa – come a Termini Imerese i sindacati temevano – si dissolse nel nulla a fine 2014 lasciando i dipendenti a un soffio dalla messa in mobilità per scadenza della Cigs.
BluTec e le auto ibride
Fu allora che si affacciò BluTec, società del gruppo Metec Stola del torinese Roberto Ginatta, vicino alla famiglia Agnelli. Il piano era produrre componentistica per auto ibride ed elettriche. L’accordo con Invitalia fu firmato in una settimana, Il progetto partì effettivamente, la ristrutturazione dello stabilimento pure. Il 2 maggio 2016 entrarono al lavoro i primi 20 operai assunti da BluTec, su un bacino di 700 a regime. Invitalia aveva approvato il piano e staccato il primo assegno da 20 milioni di euro. Da allora, poco o nulla più: ritardi su ritardi da parte di BluTec nell’esecuzione dei piani, i lavoratori che protestano, Invitalia che ritira il finanziamento e chiede indietro i soldi. Fino all’intervento di martedì 12 marzo della magistratura di Termini Imerese e della Guardia di Finanza e gli arresti domiciliari per il presidente Roberto Ginatta, e l’amministratore delegato Cosimo di Cursi, per presunta malversazione ai danni dello Stato. Dopo otto anni di accordi benedetti da tutti i ministri dello sviluppo che si sono succeduti, e tutti rigorosamente disattesi, Termini Imerese rimane un deserto industriale.

(nella foto Domenico Arcuri, amministratore delegato di Invitalia)

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