Burrafato si da alla “polemica” nazionale: Berlusconi e i suoi brutti imitatori, come Grillo, Di Pietro e Renzi

Elettrolux, Antonio Merloni, Fincantieri, Lucchini, Wind Jet, Termini Imerese (ex Fiat), Natuzzi, Irisbus, Indesit, Carbonsulcis, Alcoa, Meridiana, Euroalluminia: sono tutte aziende a rischio chiusura e sono migliaia i lavoratori a rischio disoccupazione. Con la fine dell’estate, settembre ripresenta intatti, se non accresciuti, tutti i problemi del nostro Paese. Se prendiamo in considerazione il periodo 2008-2011 dell’ultimo governo Berlusconi, riscontreremo che decine di migliaia d’imprese hanno smesso l’attività e che più di un milione di lavoratori hanno perso il posto e la speranza di ritrovarlo. Nello stesso periodo si sosteneva che la crisi non esistesse e non si presero le misure adeguate che altri Paesi invece adottarono per reggere meglio l’impatto della recessione. Perciò oggi, settembre 2012, non ci si può permettere di perdere altri posti di lavoro e altre produzioni perché questo renderebbe più lontana ogni ipotesi di ripresa.

Meno imprese e meno lavoratori vogliono dire meno entrate per l’erario e per giunta più uscite per sostenere pensioni e cassa integrazione. Sostenere imprese e lavoratori permetterebbe allo Stato di non farsi carico dell’aumento dei disoccupati che resterebbero, con il lavoro, a carico delle imprese. Un bel risparmio per l’erario. Perciò è necessario sostenere le imprese e i lavoratori perché questa è la sola maniera per rilanciare l’economia e finora nessun governo se n’è fatto carico, tantomeno il governo Berlusconi.
L’Italia è un Paese dove non esiste una divisione netta fra il reddito d’impresa e quello personale ed è il Paese dove si è pubblicizzato che non pagare le tasse è un diritto. Il risultato è che le imprese non hanno avuto sostegni fiscali per affrontare la crisi e non chiudere, mentre non si è colpita la grossa evasione fiscale, ma si è cercato di superare l’attuale giusta proporzionalità. Servirebbe, invece, che le imprese pagassero meno tasse, se reinvestite in sviluppo tecnologico e occupazione, per permettere che gli utili restino reinvestiti nell’azienda, mentre i grandi redditi privati possono pagare tasse in misura sempre più progressiva perché non farebbero soffrire nessuno.
Sono stati, questi anni, quelli in cui ci si è preoccupati di difendere l’esistente lasciandosi sfuggire la realtà in mutamento. Il risultato è stato che nessuno, neanche i sindacati, si è preoccupato di non far fallire le imprese (come se non fosse anche loro il problema) e infine non hanno potuto difendere i posti di lavoro. Nessuno ha imparato che “non basta aver ragione per vincere” ma bisogna, anche arretrando di fronte alla dura realtà, conquistare spazi e postazioni intermedie dove esercitare il controllo dei cambiamenti e di contrattazione e, se possibile, dirigerli. Non è apparso che questo fosse chiaro a Landini.
Ora il Governo Monti è impegnato a rilanciare la crescita e si scontra con le poche risorse a disposizione ma, mentre si procede, giustamente, con la spending review perché la riduzione delle spese inutili è sacrosanta, non sembra ancora che si vogliano cercare i fondi necessari dove si trovano. Per esempio con una, anche se morbida, imposta patrimoniale. Manca all’Italia una vera classe dirigente con capacità politiche all’altezza della situazione. A qualcuno sembrava che l’esperienza Berlusconi avrebbe prodotto tali capacità, ma abbiamo constatato che da quelle fila sono scaturiti lenoni, furfanti, affaristi senza scrupoli, corruttori e corrotti e tante vallette e top model con ben altre capacità. Altro che nuova classe dirigente.
Tutto questo, e molte inadeguatezze dell’opposizione, hanno generato quella che è stata definita l’antipolitica. L’Italia ha sempre pagato i risultati dell’antipolitica e del populismo, per non parlare di Cola di Rienzo e di Masaniello, uccisi proprio da chi li sosteneva; quello di Berlusconi e di suoi brutti imitatori, come Grillo e ora anche Di Pietro e forse Renzi, possono fare bene soltanto a loro e ai pochi che li seguono, ma farebbero molto male agli italiani. Sfasciare è facile, ma costruire richiede obiettivi, progetti e capacità di gestione di un Paese complesso come il nostro. Non tenere contro di questo farebbe scivolare l’Italia in nuove avventure antidemocratiche che metterebbero a tacere ogni volontà di ripresa e d’impegno individuale, necessari a riconquistare speranza nel futuro, così com’è avvenuto nell’ultimo dopoguerra.
Berlusconi ha fatto perdere tempo prezioso all’Italia e ogni tentativo populista ne farebbe perdere ancora e di certo non è di questo che abbiamo bisogno. All’Italia e agli italiani serve che si riuniscano, in uno sforzo e impegno comuni, tutte le forze e le energie che, chiamate a raccolta, possono ricostruire e raddrizzare il Paese. Questo è ancora possibile e non saranno certamente i demagoghi che stanno dividendo gli italiani a riuscire nell’impresa, ma solo chi ha intenzione di lavorare per questo, e non contro qualcuno o qualcosa, potrà ridare forza e dignità all’Italia.
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