BAGHERIA: La fabbrica dei candidati

Lo vede il posteggiatore abusivo qua fuori? Si candida anche lui». Pensi che Santi Castronovo, titolare della trattoria «Don Ciccio», tempio della ristorazione di Bagheria, ti stia prendendo in giro. E invece, da una folta mazzetta depositata davanti alla cassa, tira fuori il facsimile di Giuseppe Lo Coco, 69 anni, che – basta affacciarsi alla finestra – è proprio l’anziano che allunga la mano agli automobilisti. Sì, è lui. Tesserino di «custode veicoli» appuntato sul petto, di mattina sta all’ufficio pensioni e di pomeriggio si sposta qui. «Faccio questa vita da sedici anni, dopo avere provato un po’ con tutti i mestieri. Un programma vero non ce l’ho. Ma ho bisogno, e quindi penso di saper aiutare tutti quelli che hanno bisogno. Non crede?».

Esce dal ristorante un aiutante di cucina, cappello in testa. «Si candida anche mio suocero, il fruttivendolo ambulante della piazza qui dietro, si chiama Antonino Di Piazza». Prima che si materializzi anche Cetto La Qualunque, alzi la testa verso l’alto e ti accorgi che la città alle porte di Palermo dove si vota domenica e lunedì appare trasformata in un gigantesco spot elettorale.

Un popolo di aspiranti politici che si annuncia sulla palazzina allo svincolo dell’autostrada, gronda dai balconi di corso Umberto, dilaga sui cancelli delle ville settecentesche che ancora fanno capolino tra il cemento, sbuca dalle persiane, viaggia su macchine e motoapi (che qui si chiamano «lape»), sventola sui fili della biancheria, sui cavi dell’elettricità, occupa ogni spazio fisico e dell’immaginario. Una guerra all’ultimo centimetro. Un piccolo business per chi ha un balcone centrale e in buona posizione: vista la penuria di spazi autorizzati, la corsa è ad accaparrarsi il migliore. Offrendo sorrisi e gratitudine, ma anche mettendo mano al portafogli. «I migliori ci costano anche dieci euro al giorno», racconta un galoppino con un pacchetto di santini in mano. «Un incubo, me li sogno anche la notte – dice una signora uscendo dal panificio – non vedo l’ora che finisca tutto».

Sono 528 quelli in corsa per un posto al consiglio comunale. Al seguito dei sei candidati a sindaco, tutti trasversali ai tradizionali schieramenti di partito. Se conti che la cittadina ha 65 mila residenti e 46 mila elettori, i calcoli sono presto fatti: uno su 87 tenta la carta della politica, l’unico ascensore sociale che ancora funzioni in tempi di crisi e di disoccupazione, esclusi scommesse e gratta e vinci. Record battuto soltanto dal vicino paese di Terrasini: 5 aspiranti alla poltrona di primo cittadino e 262 al consiglio su circa 18 mila elettori: uno su 68 che mette la scheda nell’urna spera di traghettare se stesso dentro il palazzo.

Qui a Bagheria c’è chi promette turismo, impresa, più iniziativa e meno burocrazia, legalità, lavoro, bellezza. Medici, ingegneri, liberi professionisti, e soprattutto moltissimi giovani disoccupati. Che si giocano la partita con lo stesso spirito di chi partecipa a un maxi-concorso pubblico. Il candidato Leonardo D’Acquisto dell’Udc si presenta circonfuso di mistica luce come un santo, il cielo, le nuvole, i raggi che si irradiano dal suo capo, le mani tese verso una donna che sembra un angelo assunto in Cielo. Slogan: «Datemi un motivo per aiutarvi». L’autonomista Franco Scurti colonizza cancello e viali della settecentesca Villa Trabia: «Sostieni il progetto di un centro di riabilitazione». In corso Butera campeggia Manuela Serravalli «detta Pilato». Abitudine a lavarsi le mani spesso? «No, la conoscono tutti come la nipote della signora Pilato, un’istituzione qui all’Encal», spiega la donna che abbassa la saracinesca del patronato Cisal. Arcaica e opulenta, Bagheria, carretti e negozi, passata dal mondo contadino a quello dei consumi senza mai transitare da una modernità compiuta.

Qualcuno riesce ancora a indignarsi. Antonio Maggiore, titolare di un’officina meccanica, uno dei pochi che qui non hanno un candidato tra i parenti stretti. «Una vergogna – dice – i manifesti elettorali non dovrebbero stare negli spazi dedicati? E poi fino all’altro giorno eravamo sepolti dalla spazzatura, per non parlare delle nostre meravigliose ville chiuse…».

Schieramenti spaccati, la politica che si fa largo a fatica. Niente simboli del Pd e dell’Mpa – divisi entrambi su due candidati – un proliferare di liste civiche, una trasversalità che si trasforma in un tutti contro tutti. Dio è morto, Marx è morto e neanche Bagheria si sente tanto bene.

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