Intimidazioni e querele bavaglio: facile “sparare” sui cronisti

L’Italia non occupa il 77mo posto nelle graduatorie internazionali in materia di libertà di informazione per colpa di qualcuno in particolare. Proprio perché certe esternazioni non ci sono piaciute e le contrasteremo sempre e comunque, non possiamo neppure accettare la retorica di chi finge di non sapere le ragioni che condannano l’Italia nei rapporti internazionali.
Quella 77ma posizione discende dalla mancata risoluzione del conflitto di interessi che neppure la recente legge ha risolto, proprio perché si è guardata bene dall’affrontare il tema del rapporto tra politica e media.
La situazione italiana è stata ulteriormente aggravata dalle continue minacce contro i cronisti, dall’alto numero di quanti sono costretti ad una vita sotto scorta e sotto sorveglianza, dal dilagare del fenomeno delle cosiddette “querele temerarie” divenute un vero e proprio strumento di intimidazione e di aggressione contro chi cerca di indagare su mafie e malaffare.
In questi giorni al Senato è ripreso l’iter della legge sulla diffamazione. Il testo attuale non funziona e nulla prevede proprio sulle “querele bavaglio”. Dal momento che, anche in queste ore, ciascuna forza politica ha rivendicato a sé la bandiera della libera informazione e il desiderio di far recuperare posizioni all’Italia nei rapporti internazionali, perché non ingaggiano una bella e pubblica sfida per cambiare quel testo introducendo finalmente l’obbligo per il “temerario” sconfitto di lasciare la metà di quanto aveva richiesto con l’unico obiettivo di intimidire il giornalista e di chiudergli la bocca?
Restiamo in attesa degli emendamenti per capire chi ha davvero a cuore i valori racchiusi nell’articolo 21 della Costituzione.

bavaglio

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