Ginatta: Posto fisso in tribuna vip allo stadio per la Juve, Businessman duro e dai modi spicci, a capo del colosso Blutec, cresciuto nella nidiata dell’indotto Fiat e finito ai domiciliari

ROBERTO GINATTA STOLA - DI CURSI GINATTA - fotografo: IMAGOECONOMICA

Dal Corriere della Sera – Torino

Il posto fisso allo stadio, in tribuna vip. Un tempo seduto a fianco di Umberto Agnelli, e fino a ieri vicino al figlio Andrea, attuale patron della Juventus. Il Royal Golf Club (ex Roveri) La Mandria, tra le 39 buche e le chiacchiere con Antonio Giraudo. Le belle auto: per salirci a bordo ma soprattutto per farci affari. I libri: sua moglie è Gloria Cravotto, discendente degli editori milanesi Treves, e la tentazione, presto sopita, di comprare Einaudi strappandola alla Mondadori di Silvio Berlusconi. Gli investimenti in Talent Garden, il coworking degli startupper. I figli che fanno affari con Lapo Elkann, in Italia Independent. E poi quel sogno di far rivivere Termini Imerese, l’ex Sicilfiat, la fabbrica della Lancia Ypsilon, che oggi si sta trasformando in incubo. È tutta nel segno della passione e del mito del Lingotto l’ascesa e la caduta di Roberto Ginatta, l’imprenditore torinese finito agli arresti domiciliari per distrazione di fondi pubblici concessi dallo Stato per riavviare l’impianto siciliano.

Turbato per le vicende del figlio Mario
Negli ultimi mesi Ginatta, un businessman duro e dai modi spicci, era inquieto. Turbato per le vicende giudiziarie del figlio più grande Mario, 36 anni, coinvolto nel processo «Tacco 12» quello delle baby-squillo per i vip torinesi, e già salito alla ribalta delle cronache giudiziarie per aver «parcheggiato» due puma in giardino, una stravaganza costata circa 300 mila euro di multa. E l’imprenditore era seriamente preoccupato per la piega che stava prendendo l’investimento industriale a Termini. Quel progetto che l’avrebbe trasformato da «gregario» di sempre del mondo Fiat in protagonista di prima fila dell’auto elettrica. E così si sfogava con i collaboratori più stretti. «Non capisco cosa voglia fare Fca, ci ha promesso ordinativi importanti di Doblò elettrici per rilanciare Termini Imerese. Per ora abbiamo solo prototipi. Se il Lingotto continua col freno tirato mi rivolgerò a Volkswagen. Anzi mi compro l’Italdesign e così i tedeschi produrranno per forza in Italia». Spacconate tipiche del personaggio, secondo alcuni, abituato ad operare con le spalle coperte, al servizio della «Real Casa dell’auto».

Le politiche del governo sull’automotive
Secondo altri, la sua voce si è fatta grossa per la paura. Perché «al Mise — sosteneva Ginatta — non capiscono i problemi dell’industria dell’auto, ma il progetto è serio». E soprattutto cresceva il timore nel futuro perché quei legami stretti che hanno unito lui e la sua famiglia alla galassia degli Agnelli si stavano progressivamente allentando.

«Raider» senza l’understatement torinese
Di Roberto Ginatta in città tutti ricordano un’immagine. Quella accanto a Umberto Agnelli. L’imprenditore torinese è cresciuto nella nidiata dei fornitori della Fiat, unito a doppio filo al ramo cadetto della dinasty del Lingotto. Altri tempi. I nemici lo chiamavano «occhi di cerbiatto». Modi felpati con i «reali dell’auto» e con gli amici della dirigenza Juventus, Moggi e Giraudo, ma con tutti gli altri non ha mai fatto sconti. Anzi. Quando si inceppava qualcosa nei meccanismi della filiera e il Lingotto doveva metterci mano, Ginatta era l’uomo che andava e sistemava. Se c’era un’impresa decotta dell’indotto da «salvare» lui se ne faceva carico. Con parole secche, a volte urticanti, «pronto a mettere sul tavolo 10 euro e non un centesimo di più, se sapeva di un’azienda in difficoltà», dice un professionista che lo conosce bene. L’imprenditore torinese non si è fatto tanti amici nell’indotto dell’auto. Il suo fare da «raider» mal si combinava con l’understatement subalpino. Con molti il vortice di debiti e di crediti si è trasformato in zuffe legali. Poco importa. Tutto funzionava quando splendeva alto il sole del Lingotto. E se c’è da acquisire la storica azienda Stola, si fa e basta. E poi la Maggiora, lo storico marchio di car design (che ha firmato la Barchetta Fiat), accollandosi anche la Irma di Atessa. E così per Alcar industrie. E se Fiat va in Brasile spunta la Stola do Brasil. Tanto ordini e commesse sono garantiti.

Lo stabilimento siciliano
Quando Sergio Marchionne ha preso il timone dell’azienda e detto addio a Termini Imerese, e i fondi pubblici di Regione Sicilia e dello Stato si sprecavano, Ginatta ha ragionato come si faceva un tempo. Con l’elmetto in testa. Pronto alla prossima battaglia. Convinto che in qualche modo lo stabilimento si sarebbe riempito di ordini e commesse. Lapo e Andrea La famiglia Ginatta è ancora legata al ramo cadetto degli Agnelli. E il provvedimento di interdizione emesso dalla Procura di Termini Imerese rischia di sollevare un polverone anche nelle società partecipate.

Holding
Roberto Ginatta è l’amministratore unico di Investimenti Industriali, società di partecipazioni che condivide al 50% con Andrea Agnelli, attraverso la Lamse. La holding di partecipazioni ha un attivo di 4,8 milioni di euro e ha in essere investimenti in Fabric Invest e nel fondo di private equity Bravo Invest, che ha in portafoglio azioni di Best Union, Metalbuttons e anche il 16% di Mirato l’azienda del presidente di Confindustria Piemonte Fabio Ravanelli. In bilancio c’è pure una voce legata a Nobis Assicurazioni, poco meno di un milione di euro, che però assicura a Ginatta un posto da consigliere nella compagnia torinese e un’opzione a salire nel capitale. Con l’attuale governance del Lingotto i rapporti si sono rarefatti, puramente di business.

I progetti con l’azienda di Lapo Elkann
Rimane salda l’amicizia con Lapo Elkann. Il figlio Mario è stato socio del nipote dell’Avvocato. Fino a detenere l’8% del capitale di Italia Independent, la società di occhialeria d’alta moda milanese. Con Garage Italia, altra azienda uscita dalla creatività di Lapo, sono diversi i progetti in corso. Uno di questi prevedeva l’avvio di una produzione di veicoli elettrici a Termini Imerese. All’ex Roveri, il Royal Golf Club della Mandria presieduto da Allegra Agnelli, la famiglia Ginatta è nel cda. Mario è anche nella commissione per la valutazione e l’accettazione di nuovi soci. Nel blu dipinto di tech Nel 2014 nasce da una costola di Metec la Blutec, la società che si fa carico di rilanciare lo stabilimento siciliano. Il progetto è ambizioso. Persino visionario.

Le difficoltà nell’«elettrico» e le forniture per Iveco
Anche se tanti esperti di settore ne prevedono le difficoltà. In Italia si immatricolano poche migliaia di vetture elettriche. Fiat ha annunciato la dismissione dell’impianto nel 2011. Lo stabilimento fa gola a tanti, soprattutto per i fondi pubblici promessi. Il vecchio impianto di Termini Imerese, secondo il piano industriale di Ginatta, avrebbe dovuto ospitare un polo di veicoli di nuova generazione. Le flotte commerciali del futuro. Ginatta si dà da fare. Oltre ai duemila Doblò elettrici promessi da Fca cerca collaborazioni con i cinesi di Jiayuang e Poste Italiane. Il sogno di far rivivere Termini Imerese sembra a due passi. Ginatta è convinto che si tratti di pochi mesi e poi l’impianto comincerà a sfornare vetture. In realtà Blutec vive ancora di commesse del mondo Fca. E per buona parte sono forniture per Iveco e per la Sevel, prodotte negli impianti di Atessa. Il fatturato vale circa 95 milioni di euro. E la società sforna anche utili, pari a 2,7 milioni di euro e conta 686 dipendenti.

I quadricicli
Nell’impianto siciliano era attesa la produzione di quadricicli elettrici di Xev, la startup torinese di Lou Tik che ha affidato lo sviluppo industriale del prototipo alla Blutec. Ma ieri i manager della società hanno inviato un carro attrezzi per riprendersi la vettura.

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